di Patrizia Bonelli- patbonelli(at)gmail.com

di Patrizia Bonelli- patbonelli(at)gmail.com
"Il Mediterraneo è mille cose nello stesso tempo. Non un paesaggio, ma molti paesaggi. Non un mare, ma molti mari. Non una civiltà, ma una serie di civiltà una dopo l'altra".

"The Mediterranean is thousand things together. Not a landscape but many landscapes. Not one sea but many seas. Not a civilization, but a series of civilizations one after the other" Fernand Braudel

giovedì 22 marzo 2012

Roma, la città che vogliamo, di Patrizia Bonelli


In una intervista Renzo Piano definì la città come la più incredibile invenzione degli esseri umani, che ne hanno fatto il luogo per eccellenza del loro stare insieme, dei loro scambi materiali e culturali. La struttura della città rivela la società che la abita e gli urbanisti precedono i sociologi, perché nell’organizzazione degli spazi, nell’equilibrio fra quelli pubblici e quelli privati, hanno in mente la vita che lì si svolgerà.
La città che vorremmo è quella dove si va a piedi, con i mezzi pubblici o in bicicletta senza rischiare la pelle, dove le stazioni ferroviarie, della metropolitana e degli autobus non sono in abbandono , ma arredate, curate e illuminate, con bar, punti di ristoro e negozi.
Non serve una grande immaginazione, è il modo in cui sono organizzate tutte le più grandi città europee e anche il cuore della nostra città. Vorremmo che fossero così anche il semi centro e le periferie, che la mobilità fosse assicurata dai mezzi pubblici e i taxi numerosi e con tariffe accessibili come in ogni altra parte del mondo.
Quale sviluppo della città
Il cemento a Roma è cresciuto smisuratamente in questi ultimi anni ed il prossimo futuro non lascia prevedere niente di buono: come "compensazione" dei 190 ettari di Tor Marancia nel Parco dell’Appia Antica sono in via di realizzazione, nei vari quartieri della città, costruzioni di vario genere per più di 4 milioni di metri cubi.
Se centri servizi e uffici peggiorano il traffico già caotico perché si raggiungono solo in automobile, per ogni centro commerciale chiudono almeno 70 piccoli esercizi che si raggiungevano a piedi da casa. Prima si chiedono i servizi indispensabili per i nuovi insediamenti, poi il cambiamento di destinazione d’uso di immobili destinati a sevizi per le più remunerative abitazioni.
I centri commerciali sollecitano l’identità di consumatori di merci omologate, si basano sullo spreco di energia, di territorio e di merci e sulla smisurata produzione di rifiuti. I nuovi conglomerati urbani non riflettono un modello di coesione sociale, non promuovono sviluppo sostenibile, né creano lavoro, basano la crescita economica sulle costruzione in sé e non sulla loro utilizzazione, soddisfano esclusivamente esigenze di gruppi finanziari sacrificando soprattutto l’ambiente.
Dove abitano i lavoratori?
Nella crescita tradizionalmente anarchica della città di Roma nel 20° secolo, erano almeno previsti nei condomini al piano ammezzato e talvolta al piano attico, le abitazioni per gli addetti ai servizi e agli artigiani. Adesso anche chi si occupa dei servizi ogni mattina deve affrontare, insieme a circa 700.000 persone, una estenuante fila di automobili sul raccordo anulare. E allora si elargiscono concessioni per i parcheggi e i posti macchina e si trascura invece la cura del ferro: stralciato qualsiasi piano di ferrovia Roma Latina, mentre i fondi per la Pontina bis sono stati accantonati.
Quali esigenze soddisfare
Nonostante l’eccessiva cementificazione - l’emergenza abitativa non diminuisce e si stimano al ribasso i 120.000 appartamenti invenduti o comunque vuoti- e la città emarginata che vive in luoghi di fortuna continua a crescere negli anni. Mentre le giovani famiglie vanno a vivere fuori dal raccordo anulare, trascorrono nel traffico gran parte della giornata per la carenza di mezzi pubblici, e sono strozzati dai mutui sulla casa e dalla spesa del carburante, la popolazione dei senza tetto cresce e non è solo composta da stranieri ed extracomunitari ma sempre più comprende famiglie italiane fragili, con storie incredibili di esclusione alle spalle e anche di sofferta e silenziosa dignità.
La città indifferente che cresce sulla speculazione edilizia come forma di investimento finanziario non è né vivibile né estetica. Se i mestieri e i lavori cambiano e il negozio all’angolo chiude, dobbiamo incentivare e sostenere altre forme di produzione, quella locale, di filiera corta, di scambio e di socialità. Orti Urbani e fattorie sociali per rendere produttive e presidiare tutte le aree abbandonate della campagna romana. "L’altra economia" non solo nell’ex mattatoio di Testaccio, ma diffusa in tutti i quartieri e i municipi con punti di gruppi di acquisto solidali, per la cura dell’assetto urbano anche in aree cresciute male.   

lunedì 19 marzo 2012

La crescita delle città mediterranee

Secondo le proiezioni  il numero degli abitanti nelle città mediterranee potrebbe arrivare a più di 135 milioni entro il 2025 nei paesi del nord del Mediterraneo (6.5 milioni di più che nel 2000) e quasi 243 milioni nei paesi del sud est (98 milioni in più). La marcata concentrazione di popolazione, con quasi 100 milioni in più di abitanti fra il 2000 e il 2025, di cui 23 milioni in Turchia, 36 milioni in Egitto, 10 milioni sia in Algeria che in Marocco, mette sotto pressione le città che sono e saranno sottoposte a forti cambiamenti ambientali, economici e sociali.Il numero delle città molto grandi, con più di un milione di abitanti, che erano 10 nel 1950,con Marsiglia, Roma, Napoli, Atene, Izmir, Beirut, Tel-Aviv, è cresciuto fino a 29 nel 1995. Questa categoria include molte megalopoli (Istanbul, Cairo e Parigi) e le metropoli situate all’interno e soprattutto sulla regione costiera comeBarcellona, Siviglia, Madrid, Lione, Milano, Ankara, Alessandria, Tripoli, Tunisi e Algeri.
Nel 1950, nei paesi del nord del Mediterraneo, 7 grandi metropoli contenevano il 22 per cento della popolazione urbana; nel 1995 erano 13, con più del 30 per cento della popolazione urbana. Nel 1950 nei paesi del sud est, in 3 città molto grandi viveva il 15 per cento della popolazione urbana; nel 1995 c’erano 16 grandi metropoli con il 28 per cento della popolazione urbana.

La difficile gestione delle aree urbane
L’ampliamento delle aree urbane complica quindi la loro gestione, dato che i servizi pubblici non tengono testa alla velocità con cui si creano i nuovi quartieri, spesso non riconosciuti ufficialmente, e crea problemi difficili per l’occupazione, le infrastrutture e i servizi, la gestione dell’inquinamento e la produzione di rifiuti, la cuicrescita è allarmante. Il processo di urbanizzazione esteso a nord e crescente a sud, è diventato così diffuso che i concetti tradizionali di città/campagna, urbano/rurale, non sono più di grande aiuto quando si considera un nuovo tipo di aree abitate, che non sono città nel senso tradizionale del termine. Il fenomeno richiede nuove politiche regionaliche possano limitare la devastazione del territorio e le conseguenze dell’impatto umano e ambientale, che aggravano effetto serra e inquinamento.


Numero degli abitanti e stili di vita
Oggi emerge l’importanza di monitorare l’impronta ecologica delle aree urbane, in particolarelo smodato consumo dirisorse naturali e i danni all’ambiente. Generalmente questo aspetto “predatorio”è più evidente con l’aumento della ricchezza delle città. Le città sono però i luoghi più idonei allo sviluppo umano e all’organizzazione sociale, dove possono abitare milioni di persone. Il problema non risiede tanto nel numero degli abitanti della città, ma nel modo in cui queste sono gestite e negli stili di vita insostenibili. E’ necessario valorizzare le politiche che mirano a rinnovare i tessuti urbani antichi e cercano così di opporsi all’espansione delle periferie e di ridurre l’impatto ambientale.
Esempi negativi
La presenza e l’aumento di migranti può portare a un’ulteriore crescita delle città. Il comune di Roma per esempio prevede un’ulteriore urbanizzazione della campagna romana, già drasticamente ridotta dalla speculazione edilizia – apparentemente per venire incontro al“social housing” per famiglie indigenti e per immigrati; il costo di questi alloggi -in ogni caso- non sarà alla loro portata, mentre ci sono migliaia di alloggi vuoti (150.000 secondo le stime del comune) in attesa di ulteriore speculazione, di affitti e costi più alti.
Un altro esempio negativo di degrado ambientale è la collocazione – sempre a Roma- di comunità nomadi, principalmente dall’est Europa e dai Balcani. Per evitare il loro insediamento all’interno della città, i campi nomadi sono stati sistemati in aree agricole e anche in aree protette dove, nonostante condizioni di vita difficili, sono arrivate molte altre famiglie e i campi sono raddoppiati o triplicati in pochi anni.Inoltre, ampie aree agricole dei paesi del nord del Mediterraneo vengono coltivate impiegando migranti clandestini, che in tal modo rimangono sempre in condizione di essere espulsi.