di Patrizia Bonelli- patbonelli(at)gmail.com

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"Il Mediterraneo è mille cose nello stesso tempo. Non un paesaggio, ma molti paesaggi. Non un mare, ma molti mari. Non una civiltà, ma una serie di civiltà una dopo l'altra".

"The Mediterranean is thousand things together. Not a landscape but many landscapes. Not one sea but many seas. Not a civilization, but a series of civilizations one after the other" Fernand Braudel

lunedì 19 marzo 2012

La crescita delle città mediterranee

Secondo le proiezioni  il numero degli abitanti nelle città mediterranee potrebbe arrivare a più di 135 milioni entro il 2025 nei paesi del nord del Mediterraneo (6.5 milioni di più che nel 2000) e quasi 243 milioni nei paesi del sud est (98 milioni in più). La marcata concentrazione di popolazione, con quasi 100 milioni in più di abitanti fra il 2000 e il 2025, di cui 23 milioni in Turchia, 36 milioni in Egitto, 10 milioni sia in Algeria che in Marocco, mette sotto pressione le città che sono e saranno sottoposte a forti cambiamenti ambientali, economici e sociali.Il numero delle città molto grandi, con più di un milione di abitanti, che erano 10 nel 1950,con Marsiglia, Roma, Napoli, Atene, Izmir, Beirut, Tel-Aviv, è cresciuto fino a 29 nel 1995. Questa categoria include molte megalopoli (Istanbul, Cairo e Parigi) e le metropoli situate all’interno e soprattutto sulla regione costiera comeBarcellona, Siviglia, Madrid, Lione, Milano, Ankara, Alessandria, Tripoli, Tunisi e Algeri.
Nel 1950, nei paesi del nord del Mediterraneo, 7 grandi metropoli contenevano il 22 per cento della popolazione urbana; nel 1995 erano 13, con più del 30 per cento della popolazione urbana. Nel 1950 nei paesi del sud est, in 3 città molto grandi viveva il 15 per cento della popolazione urbana; nel 1995 c’erano 16 grandi metropoli con il 28 per cento della popolazione urbana.

La difficile gestione delle aree urbane
L’ampliamento delle aree urbane complica quindi la loro gestione, dato che i servizi pubblici non tengono testa alla velocità con cui si creano i nuovi quartieri, spesso non riconosciuti ufficialmente, e crea problemi difficili per l’occupazione, le infrastrutture e i servizi, la gestione dell’inquinamento e la produzione di rifiuti, la cuicrescita è allarmante. Il processo di urbanizzazione esteso a nord e crescente a sud, è diventato così diffuso che i concetti tradizionali di città/campagna, urbano/rurale, non sono più di grande aiuto quando si considera un nuovo tipo di aree abitate, che non sono città nel senso tradizionale del termine. Il fenomeno richiede nuove politiche regionaliche possano limitare la devastazione del territorio e le conseguenze dell’impatto umano e ambientale, che aggravano effetto serra e inquinamento.


Numero degli abitanti e stili di vita
Oggi emerge l’importanza di monitorare l’impronta ecologica delle aree urbane, in particolarelo smodato consumo dirisorse naturali e i danni all’ambiente. Generalmente questo aspetto “predatorio”è più evidente con l’aumento della ricchezza delle città. Le città sono però i luoghi più idonei allo sviluppo umano e all’organizzazione sociale, dove possono abitare milioni di persone. Il problema non risiede tanto nel numero degli abitanti della città, ma nel modo in cui queste sono gestite e negli stili di vita insostenibili. E’ necessario valorizzare le politiche che mirano a rinnovare i tessuti urbani antichi e cercano così di opporsi all’espansione delle periferie e di ridurre l’impatto ambientale.
Esempi negativi
La presenza e l’aumento di migranti può portare a un’ulteriore crescita delle città. Il comune di Roma per esempio prevede un’ulteriore urbanizzazione della campagna romana, già drasticamente ridotta dalla speculazione edilizia – apparentemente per venire incontro al“social housing” per famiglie indigenti e per immigrati; il costo di questi alloggi -in ogni caso- non sarà alla loro portata, mentre ci sono migliaia di alloggi vuoti (150.000 secondo le stime del comune) in attesa di ulteriore speculazione, di affitti e costi più alti.
Un altro esempio negativo di degrado ambientale è la collocazione – sempre a Roma- di comunità nomadi, principalmente dall’est Europa e dai Balcani. Per evitare il loro insediamento all’interno della città, i campi nomadi sono stati sistemati in aree agricole e anche in aree protette dove, nonostante condizioni di vita difficili, sono arrivate molte altre famiglie e i campi sono raddoppiati o triplicati in pochi anni.Inoltre, ampie aree agricole dei paesi del nord del Mediterraneo vengono coltivate impiegando migranti clandestini, che in tal modo rimangono sempre in condizione di essere espulsi. 

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