di Patrizia Bonelli- patbonelli(at)gmail.com

di Patrizia Bonelli- patbonelli(at)gmail.com
"Il Mediterraneo è mille cose nello stesso tempo. Non un paesaggio, ma molti paesaggi. Non un mare, ma molti mari. Non una civiltà, ma una serie di civiltà una dopo l'altra".

"The Mediterranean is thousand things together. Not a landscape but many landscapes. Not one sea but many seas. Not a civilization, but a series of civilizations one after the other" Fernand Braudel

Liceo Virgilio-Roma



 Storia della scuola: vicende antiche e recenti sfuggite all'oblio
Ricerca curata dal prof. Giuseppe Panuccio,
insegnante al Liceo Virgilio dal 1987  al 2007.

Nei suoi 80 anni di storia il Virgilio ha visto passare decine di migliaia tra studenti ed insegnanti tra le sue aule. Di queste generazioni che si susseguono tra Via Giulia e il Lungotevere rimangono poche tracce, la scuola vive in un eterno presente senza memoria. L'incuria sommerge poi ogni traccia di questo passato per certi versi molto interessante, perchè è uno spicchio di storia italiana. Il nostro sito per alcuni anni è riuscito con fatica a squarciare questo velo di sciatteria, di indifferenza, ma poi ha chiuso per la totale mancanza di collaborazione. Ho fatto questa ricerca con l'aiuto della Preside Rosanna Bornoroni, con l'aiuto dei pochi   studenti collaborativi.

Un po' di storia del Liceo Virgilio 

di Giuseppe Panuccio





Il Virgilio ha la propria sede nel centro di Roma nel Palazzo Ghislieri, dal bel portale tardo rinascimentale che si apre su via Giulia, la strada costruita all'inizio del'500 dal papa Giulio Il per agevolare il passaggio dei pellegrini dal Laterano al Vaticano. Il progetto del palazzo al numero 38 si deve all'architetto Carlo Maderno che ne curò la costruzione alla fine del'500. Nel 1667 l'edificio venne comprato da Giuseppe Ghislieri, famoso chirurgo dell'epoca e discendente del pontefice S. Pio V (Antonio Michele Ghislieri), passato alla storia come organizzatore della alleanza cristiana vincitrice della battaglia di Lepanto (1571).
Giuseppe Ghislieri volle fondare a Roma un collegio per permettere a giovani di famiglie nobili decadute di proseguire gli studi e lo dotò di una rendita annua di tremila scudi. Da allora il palazzo accoglie generazioni di studenti, molti dei quali provenivano da famiglie del Regno delle due Grazie al sostegno economico della Confraternita dei napoletani.
Le vicende del Collegio Ghislieri di Roma (illustrato anche in una stampa del Pinelli) seguono quelle dello Stato della Chiesa. Le cose cambiano bruscamente nel 1798, quando le truppe repubblicane romane e l'esercito francese saccheggiano le chiese e gli edifici della zona e sciolgono sia il Collegio Ghislieri sia la Confraternita dei napoletani. Disordini e danni coinvolgono durante le vicende della Repubblica Romana del 1848 anche il Collegio, che poi riprende l'attività istituzionale a fatica .
Dopo il 1870, con l'arrivo a Roma dei bersaglieri, il Collegio venne requisito e trasformato in Real Collegio militare dallo Stato italiano. Nei registri conservati nell'archivio della scuola e che risalgono alla fine dell'Ottocento, si può leggere quali erano le materie studiate: oltre a italiano, matematica, francese, tedesco, anche istruzione militare, scherma, ballo. Dopo la prima guerra mondiale, nel 1920, ai corsi del Real Collegio militare si affianca il primo corso "normale" di Liceo Ginnasio (corrispondente all'attuale prima media) che andrà a regime nel 1928, anno in cui il nuovo liceo completa il ciclo di studio, diventa autonomo e vi si svolgono i primi esami di maturità. Ma l'edificio scolastico di Via Giulia con tutte le strutture annesse ha un gran bisogno di restauri. La ricostruzione dura circa dieci anni sotto la direzione dell'architetto Marcello Piacentini; la scuola, cosi come la conosciamo oggi, viene inaugurata nel 1938.

Iscrizione posta sul portale della scuola
IOSEPH CHISLERIUS PRAE(SE)NTIBUS AEDIBUS
POPRIO AERE COEMPTIS COLLEGIUM FUNDAVIT DOTAVIT ETDE COGNOM(INE) COLLEGIUMCHISLERIUMNUNCUPARI VOLUIT AC PROTECTIONI DEIPA(RAE) VIRGINIS MARIAE ET S(ANCTI) JOSEPHI COM(M)ENDAVIT
Giuseppe Ghislieri, acquistato a suo spese questo edificio, fondò il collegio, lo fornì di dote,volle che dal suocognome fosse chiamato "collegio Ghislieri" e lo raccomandò alla protezione della vergine Maria madre di Dio e di S. Giuseppe. (anno 1670)

Iscrizione posta nell'atrio del Virgilio
IOSEPH GHISLERIUS NOB(ILIS) COLLEGII ALMAE URBIS MEDICUS DEC.... PROPRYS SUMPTIBUS PRAESENTEM DOMUM AD CERTAM ET COMMODAM
PAUPERUM ET HONESTAR(UM) VIDUAR(UM) HABITANTIUM CONSTITUIT EAMQUE ET INCOLAS DEIPARAE VIRGINI ET S(ANCTO) IOSEPH COMMENDATAS ITA ROGAT ET ARDENTISSIME CUPITUT DOMUS BEATISS(IMAE) VIRGINIS ET S(ANCTI) IOSEPH APPELLETUR.
Il nobile Giuseppe Ghislieri, medico del collegio dell'alma città (di Roma) a proprie spese la presente casa stabilì come sicura e comodaper le povere e oneste vedove che vi abitano; la casa e coloro che ci abitano chiede che siano affidate alla vergine madre di Dio e a S. Giuseppe e desidera ardentissimamente che venga chiamata la casa della beatissima Vergine e di S. Giuseppe.
Traduzione del prof. Gianni Sega (1998)



REGIO DECRETO
del 5 luglio 1928, n.2117

Creazione di cinque Regi istituti medi di istruzione.
(Pubblicato in sunto nella Gazzetta Uff. del 4 ottobre 1928, n.231).






VITTORIO EMANUELE III
PER GRAZIA DI DIO E PER VOLONTA’ DELLA NAZIONE RE D’ITALIA
Visto il R. decreto del 6 maggio 1923, n. 1054;
visto l’art. n. 3 della legge 31 gennaio 1926,n.100;
sentito il Consiglio di Stato;
sentito il Consiglio dei Ministri;
su proposta del Nostro Ministro Segretario di Stato per la pubblica
istruzione, di concerto con il Ministro della Finanze;
abbiamo decretato e decretiamo:
Articolo unico
A decorrere dal 16 settembre 1928 sono istituiti:
a Roma, un quinto Liceo-ginnasio;
a Brindisi, un Regio Liceo classico
a Enna, un Regio Liceo classico;
a Ragusa un Regio Liceo classico
a Pistoia, un Regio Istituto tecnico.
Ordiniamo che il presente decreto, munito del sigillo dello
Stato sia inserito nella raccolta ufficiale delle leggi e dei
Decreti del Regno d’Italia, mandando a chiunque spetti di
osservarlo e di farlo osservare.
Dato in S. Rossore, addì 4 luglio 1928 – anno VI
VITTORIO EMANUELE
Mussolini – Fedele- Volpi
Il Guardasigilli: Rocco
Registrato alla Corte dei Conti, addì 26 settembre 1928- anno VI 


REGIO DECRETO 27 settembre 1928
Intitolazione del quinto R. Liceo-ginnasio di Roma al nome
di “Virgilio”.
VITTORIO EMANUELE III
PER GRAZIA DI DIO E PER VOLONTA’ DELLA NAZIONE RE D’ITALIA

Volendo dare una denominazione al quinto R. Liceo ginnasio creato in Roma,
a decorrere dal 16 settembre 1928, su
Nostro decreto 5 luglio 1928, n.2117;
Sulla proposta del Nostro Ministro Segretario di Stato per
la pubblica istruzione;
Abbiamo decretato e decretiamo:
Il quinto R. Liceo-ginnasio, creato a Roma a decorrere
dal 16 settembre 1928, con Nostro decreto 5 luglio 1928 è intitolato al nome “Virgilio”.
Il Ministro proponente è incaricato della esecuzione del
presente decreto, che sarà inviato alla Corte dei conti per la
registrazione.
Dato a S. Rossore, addì 27 settembre 1928 - anno VI
VITTORIO EMANUELE
Belluzzo
Registrato alla corte dei conti, addì 15 ottobre 1928 – anno VI
Registro 19 istruzione pubblica, foglio 312 - FERZI



Le ragazze della redazione di Virgilionews

 Guido Mancini, preside di regime,
al Virgilio dal 1932 al 1938
 Nato ad Atina, in provincia di Frosinone nel 1880, laureato in lettere e filosofia, professore di filosofia e storia per diversi anni nel Liceo Alfieri di Asti, iscritto dal 1923 al Partito fascista, fu consigliere provinciale di Alessandria (1923-1928) e segretario federale della città (1924-1925), consigliere comunale, assessore e quindi podestà di Asti (1927-1928).
Dal 1932 preside al Liceo Virgilio e vicepresidente dell'Associazione fascista della scuola, dal 1938 ispettore del Ministero e membro del Consiglio nazionale dell'educazione.




All'interno del PNF curava in particolare i rapporti con l'editoria, e specialmente con la Mondadori; Dal 1936 vicepresidente dell'Istituto nazionale di cultura fascista, diresse fra l'altro il Dizionario di politica a cura del PNF.


Al bando i fumetti stranieri
Nel corso del Convegno per la letteratura infantile, svoltosi a Bologna nel dicembre 1938, viene votata la mozione presentata da Guido Mancini e Filippo Tommaso Marinetti, nella quale, per la letteratura infantile e giovanile, si trovavano queste due richieste:
1) esclusione assoluta di ogni importazione straniera, sia nel materiale scritto e illustrato, sia nello spirito;
2) ispirazione schiettamente italiana come razza innalzata dal tono imperiale fascista e mussoliniano. Queste direttive saranno presto fatte proprie dal minculpop ed estese immediatamente a tutte le pubblicazioni per ragazzi, compresi i fumetti. 

Guido Mancini partecipò alla Repubblica di Salò e fu nominato commissario dell'Istituto della Enciclopedia italiana. Epurato nel 1944 per collaborazionismo dopo l'8 settembre e perché non aveva superato un regolare concorso per l'insegnamento universitario. 

Morì a Roma nel 1975.






Elsa Morante, l'ex alunna più famosa del Virgilio, scrittrice tra i massimi narratori italiani del XX secolo
Elsa frequenta il Liceo Virgilio nel Corso D e consegue la maturità nell'anno scolastico 1931/32 con una buona media, e il suo otto in italiano diventa nove alla maturità, un voto all'epoca rarissimo.
I suoi compagni di classe - ne abbiamo conosciuti alcuni-, la definiscono creativa e geniale sin dai tempi di scuola. Finito il liceo interrompe gli studi e si distacca dalla famiglia.


Elsa Morante coin Bernardo Bertolucci - anche lui ex allievo del Virgilio-
 e Pier Paolo  Pasolini


Il suo talento narrativo, la sua fervida immaginazione, la sua originale vena poetica la rivelarono come scrittrice dallo stile geniale, collocandola fra i grandi rappresentanti letterari del dopoguerra. La capacità affascinante di trasfigurare luoghi e situazioni attraverso le luci magiche della sua fantasia, e i suoi ritmi narrativi squisitamente musicali, furono le prerogative stilistiche che fecero maggiormente apprezzare e riconoscere questa grande autrice.


Nel 1941 sposò Alberto Moravia, conosciuto qualche anno prima. Lo stesso anno pubblicò il suo primo libro di racconti, "Il gioco segreto", a cui i maggiori critici letterari, fra i quali Giacomo Debenedetti, riservarono lusinghieri apprezzamenti. Nel 1941 pubblicò la raccolta di fiabe "Le bellissime avventure di Caterì dalla trecciolina", da lei stessa illustrate.
Nasce a Roma il 18 agosto 1912, figlia di Irma Poggibonsi, maestra elementare ebrea, e di Francesco Lo Monaco, ma cresce con il padre anagrafico Augusto Morante, marito di Irma, istitutore in un riformatorio per minorenni. Visse la primissima infanzia nel quartiere popolare del Testaccio, e forse fu proprio in questo ambiente che imparò ad amare tutto ciò che era popolare, autenticamente genuino e libero dalle maniere artefatte della società borghese. Dai sei ai dieci anni Elsa, per lunghi periodi, fu ospite nell'elegante villa della sua madrina di battesimo, la nobildonna Maria Guerrieri di Gonzaga. Fu un salto di ambiente sociale che le fece conoscere il fascino del mondo aristocratico e del lusso, da cui tuttavia non si lasciò sedurre.
Elsa Morante non frequentò la scuola elementare, ma imparò a leggere ed a scrivere da sola.
La sua vocazione di scrittrice si manifestò molto presto con la pubblicazione su giornaletti per bambini di poesie e fiabe corredate da sue illustrazioni.
Nel 1922 andò a vivere nel quartiere Monteverde Nuovo, dove nel frattempo la sua famiglia si era trasferita. Frequentò il Liceo Virgilio, conseguendo la maturità nel 1932. 


Iniziò a frequentare l'Università, ma la mancanza di mezzi economici la costrinse ad abbandonare la Facoltà di Lettere.
Fu un periodo difficile per lei, che si era distaccata dalla famiglia per poter affrontare il mondo da sola: per mantenersi iniziò a redigere tesi di laurea, diede lezioni private di italiano e latino, collaborò con riviste e giornali, fra cui "Il Corriere dei Piccoli", il settimanale "Oggi" e "L'Europeo". 

Insieme al marito andò a vivere ad Anacapri, poi si trasferirono in un piccolo appartamento a Roma, in Via Sgambati. Quando Moravia, dopo l'invasione tedesca della capitale, venne accusato di antifascismo, furono costretti a rifugiarsi sulle montagne di Fondi, nella zona di Cassino, in Ciociaria. Ritornarono a Roma nell'estate del 1944, dopo la Liberazione.
Nel 1948, dopo avervi lavoro a lungo dal 1945, pubblicò il romanzo "Menzogna e sortilegio", con cui vinse il Premio Viareggio. L'opera, che ebbe notevole successo, narra la decadenza di una famiglia gentilizia del Sud, attraverso lo scorrere della vita di tre generazioni. E' una storia complessa, ricca di intrecci e di episodi laterali, nella quale l'autrice, nelle vesti di Elisa, racconta in prima persona la storia della propria famiglia.
Con il migliorare della situazione economica famigliare, Alberto Moravia e Elsa Morante si trasferirono in un confortevole attico in Via dell'Oca, che ben presto divenne uno fra i ritrovi più frequentati dal mondo artistico romano.
Nel 1957 pubblicò il suo secondo romanzo, "L'Isola di Arturo", con cui vinse il Premio Strega. E' la storia della difficoltosa maturazione di un ragazzo che vive, all'ombra del grande penitenziario dell'Isola di Procida, insieme al padre, un uomo cinico e duro che, con i suoi misteriosi comportamenti, appesantisce ancora di più le condizioni di solitudine e segregazione del giovane.
In quegli anni Elsa Morante fece la conoscenza di Umberto Saba, Sandro Penna e Pier Paolo Pasolini, con i quali strinse una solida amicizia.
Nel 1958 raccolse in un libro, dal titolo "Alibi", la produzione di sedici liriche.
In quel periodo subentrarono le prime difficoltà nel rapporto con Moravia. Elsa, dal temperamento intransigente e vulnerabile, alternava momenti di vivace entusiasmo ad altri di insofferente malessere. Il suo fondamentale bisogno di affetto e protezione si scontrava spesso con la sua forte esigenza di autonomia.
Dopo aver visitato la Francia e l'Inghilterra, compì una serie di lunghi viaggi, visitando, con una delegazione culturale, l'Unione Sovietica e la Cina. Nel 1959 pubblicò "Le straordinarie avventure di Caterina" e si recò negli Stati Uniti, dove conobbe il giovane pittore newyorkese Bill Morrow, con cui ebbe un affettuoso rapporto di amicizia.
Al suo ritorno a Roma, pur non lasciando definitivamente la residenza coniugale, né il proprio studio ai Pairoli, si trasferì in un nuovo appartamento in Via del Babuino: un luogo tutto suo nel quale amava rifugiarsi, sottraendosi alla vita mondana e a tutto ciò che era obbligato e formale.
Nel 1959 scrisse il saggio "Nove risposte sul romanzo" a cui, l'anno dopo, fece seguito un altro saggio intitolato "Otto risposte sull'erotismo in letteratura"; furono entrambi pubblicati sulla rivista "Nuovi Argomenti".
Nel 1961 con Moravia visitò il Brasile; in seguito, si recò con il marito e P.P. Pasolini in India. Nel 1962 avvenne la separazione da Moravia, a cui tuttavia restò sempre legata da grande affetto. Nello stesso anno visse con profondissimo dolore il suicidio dell'amico Bill Morrow.
Nel 1963 pubblicò la raccolta di racconti "Lo scialle Andaluso". Gli anni successivi furono molto difficili per Elsa Morante: alternò alla produzione letteraria, altri viaggi all'estero, recandosi in Andalusia, in Messico, nel Galles. Il suo stato d'animo era pervaso da una costante malinconia, aggravata dal tormento per la prematura morte dell'amico statunitense.
Nel 1965 scrisse "Pro e contro la bomba atomica" un saggio carico di preoccupate inquietudini politico-sociali, poi pubblicato in "Europa letteraria". Nel 1968 pubblicò un'altra raccolta di poesie, col titolo "Il mondo salvato dai ragazzini". Negli occhi dei ragazzini la Morante vedeva il mare, lo spazio libero, la terra incontaminata, la speranza e la medicina per i mali dell'umanità.
Fra il 1971 e il 1973 lavorò al suo terzo romanzo, "La Storia", che verrà pubblicato l'anno successivo. Fu un'opera che suscitò diverse polemiche, ma che ottenne anche un grandissimo successo di pubblico. In questo romanzo l'autrice racconta l'odissea bellica dell'Italia e del mondo nel periodo 1941-1947, attraverso le vicissitudini di una famiglia romana, dapprima impegnata a sopravvivere in una città devastata dalla guerra, poi, fra infinite difficoltà, impegnata in una faticosa ricostruzione.
Nel 1976 inizia la stesura del suo ultimo romanzo, "Aracoeli", pubblicato solamente nel 1982, un lavoro protrattosi per alcuni anni e interrotto nel 1980 quando la Morante, per una banale caduta si ruppe il femore e fu costretta a subire un intervento chirurgico. In quest'ultimo intenso romanzo l'autrice tratteggia, con tratti di grande sensibilità, la vita di un personaggio che con angoscia cerca di ricomporre la figura materna, perduta e irraggiungibile, attraverso un complesso percorso psicologico.
Elsa Morante, non più in grado di camminare, visse gli ultimi anni della sua vita a letto, in un quasi totale isolamento. Solo gli amici più affezionati continuarono a farle visita. Nell'aprile del 1983, stanca e depressa, tentò il suicidio, aprendo i rubinetti del gas, ma l'arrivo della fedele governante la salvò. Nel 1984 fu sottoposta ad un ulteriore intervento chirurgico per un'ulcera perforante, a seguito del quale non lasciò più la clinica romana in cui era stata ricoverata.
Morì a Roma, colpita da infarto, il 25 novembre 1985, all'età di settantatre anni.
Le sue ceneri furono disperse nelle acque dell'Isola di Procida, un luogo incantato che aveva scoperto con Moravia durante gli ultimi mesi della seconda guerra mondiale, quando erano costretti a scappare e anascondersi: su quell'isola aveva trascorso alcuni dei momenti più belli della sua vita. 

Un giudizio positivo sulla Morante ci viene dal critico e filosofo ungherese Lukacs, che la riteneva sicuramente "più brava" del suo celebre marito Alberto Moravia.



Roma, 1943/45, aula 70 del Liceo Virgilio

L'elettrone grasso che cambiò il mondo, di Pietro Greco
Un esperimento cruciale aprì la strada alla fisica del XX secolo, quella delle particelle.

.

La ricerca indica ai fisici italiani una strategia che si rivelerà di enorme successo.






Oreste Piccioni, fisico del gruppo del Virgilio 
(Siena, 1915- Usa, 2002). 
Dopo la guerra continuò la sua attività in varie istituzioni di ricerca negli Stati Uniti, divenne professore di Fisica nell'University of California, San Diego (USA) e diede significativi contributi nella ricerca sulle anti-particelle.


Enrico Fermi e i "ragazzi di via Panisperna"
Era stato, nel 1912, il fisico austriaco Victor Hess a scoprire che dal cosmo giunge sulla Terra una radiazione, ricca di energia e di natura ignota. Per molto tempi i fisici pensarono che quei raggi cosmici fossero costituiti da "raggi ultragamma", vale a dire da radiazione elettromagnetica ad altissima frequenza. Ma fu l'italiano Bruno Rossi, a cavallo tra il 1929 e il 1930, a dimostrare che i "raggi cosmici" non erano costituiti da particelle. Per la sua dimostrazione Bruno Rossi si era avvalso di un avveniristico rivelatore elettronico. 
Intorno a Bruno  Rossi, alla sua scoperta e alla sua tecnica, nacque tra Firenze e Padova un'autentica scuola di "fisica dei raggi cosmici". Una scuola di assoluta eccellenza, di cui i giovani Marcello Conversi, Ettore Pancini e Oreste Piccioni entreranno a far parte. 

I mesotroni sono particelle instabili, elettricamente cariche, e rallentano la loro velocità mentre attraversano l'atmosfera, mostrando proprietà diverse a quote diverse. Conversi e Piccioni misurano la vita media dei mesotroni a bassa quota, ma non sono ancora in grado di rivelare la natura dei mesotroni. Per questo chiamano a Roma Pancini, e dimostrano che ci sono due tipi di mesotroni, uno con carica positiva l'altro con carica negativa, che hanno comportamenti diversi.
Entrambi sono instabili e il mesotrone con carica elettrica negativa è, a tutti gli effetti, un elettrone, anche se più grasso. E decade proprio in elettrone a causa della sua instabile pinguedine: i tre fisici hanno scoperto il muone, il fratello più pesante dell'elettrone. E hanno dato inizio a una nuova stagione della fisica: la fisica della particelle o, meglio, la fisica delle alte energie che dominerà la seconda parte del XX secolo.



Il prof. Carlo Dionisotti 
famoso filologo  

ha insegnato al Virgilio negli anni '40 

Carlo Dionisotti nato a Torino nel 1908, si è laureò in lettere a Torino nel 1929 col professore nazionalista e fascista Vittorio Cian, direttore del "Giornale storico"; per portare avanti le sue ricerche nella Biblioteca vaticana si trasferì a Roma dove insegnò negli anni '40 per alcuni anni italiano e latino al Liceo Virgilio. A Roma lavorava anche nella redazione del Dizionario Biografico degli Italiani, diretto da Giovanni Gentile, dove era stato introdotto da Fortunato Pintor. Al liceo strinse amicizia soprattutto con il coetaneo 
Giorgio Candeloro, -  poi divenne famoso come storico- insegnante di storia e filosofia (vedi scheda in basso). Tra il '42 e il '43 i due parteciparono alla fondazione del Partito d'Azione con Ferrucco Parri, Alessandro Galante Garrone e Norberto Bobbio.
Dionisotti divenne abbastanza noto come antifascista nel 1944 per il suo saggio sulla morte di Giovanni Gentile, ucciso dai partigiani fiorentini il 25 aprile 1944.

 Dionisotti scrisse allora che accettava "risolutamente" il gesto dei gappisti fiorentini.
Al Virgilio ebbe tra i suoi allievi del corso I Alberto Ronchey, giornalista del Corriere della Sera ed ex ministro, che in un editoriale del Corriere della Sera ne ricorda “la personalità di forte autorevolezza”.
Dionisotti conseguì la libera docenza in letteratura italiana nel 1937 e, oltre ad insegnare al Virgilio, fino al 1946 fu assistente di Natalino Sapegno all'Università di Roma.




Si trasferì poi in Inghilterra per le difficoltà ad essere accolto nel mondo accademico italiano; divenne lettore di italiano a Oxford nel 1947 e professore al Bedford College di Londra nel 1949.
La sua collaborazione a riviste letterarie è stata intensa: alla fine degli anni trenta ha lavorato come segretario di redazione del «Giornale storico della letteratura italiana». Ha scritto su «Italia medioevale e umanistica», divenendone condirettore nel 1958, su «Italian Studies», «Lettere italiane», «Studi di filologia italiana» e altre riviste.
La sua attività filologica si è rivolta, in particolare, alle opere di Pietro Bembo. Ha inoltre approfondito lo studio della letteratura italiana del Quattrocento e del Cinquecento, negli aspetti filologici e linguistici e nelle implicazioni storico-politiche. Soprattutto notevoli, in questo senso, gli studi su Geografia e storia della letteratura italiana, uscito dapprima nel 1967, che lo hanno fatto emergere tra i maestri della letteratura.
Dionisotti stesso ha definito questa raccolta «un'inchiesta condotta con scrupolo di verità, ma con passione politica, sulla storia tutta della letteratura italiana nel quadro della storia d'Italia». Vanno poi almeno citati saggi su Machiavelli oltre agli studi sull'Ottocento.

Ciò che colpisce negli studi e nei libri di Carlo Dionisotti, oltre all'ampiezza e all'esattezza delle prospettive storiche, è il respiro di un metodo in cui si fondono il rigore filologico, una vasta e solida cultura, una forte sensibilità civile e il gusto per la poesia e per l'arte, come testimoniano i saggi raccolti nel 1995 in Appunti su arti e lettere.
Si è spento a Londra nel 1998, salutato dall'intera cultura del Paese come il maggiore storico della letteratura italiana del secondo Novecento. E’ sepolto a Romagnano Sesia, in provincia di Novara.


In una intervista rilasciata poco prima della morte Carlo Dionisotti osservava: 
 "Pare a me che il compito degli intellettuali sia di fare, come tutti gli altri, il loro mestiere nel modo migliore. Il loro mestiere può comprendere anche la politica attuale, ma non necessariamente. Se la comprende, il loro compito precipuo - secondo me - è di ricordare e spiegare i precedenti di questa politica che sfuggono alle nuove generazioni e a quelli che intellettuali non sono. Più che un compito direzionale, dovrebbe essere - secondo me - un compito commemorativo e monitorio.

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Candeloro, Giorgio (Bologna 1909 - Roma 1988), storico italiano. 

Studioso dapprima di storia delle dottrine politiche, sotto l'influenza di Giovanni Gentile dopo la seconda guerra mondiale fu uno dei primi a occuparsi del Movimento cattolico in Italia, al quale dedicò un libro pionieristico (1953). Docente di Storia del Risorgimento all'Università di Pisa, visse a Roma dove si dedicò alla stesura di una vasta ricostruzione della vicenda complessiva dell'Italia dal Risorgimento alla Resistenza in undici volumi (Storia dell'Italia moderna), pubblicati tra il 1956 e il 1985, in cui si avverte l'insegnamento  di Gramsci.



MANLIO CANCOGNI, 
supplente di filosofia, licenziato dal Virgilio  per antifascismo nel 1940
Come un romanzo autobiografico diventa un libro di storia. Manlio Cancogni, «Gli scervellati. La seconda guerra mondiale nei ricordi di uno di loro», Diabasis, pp. 263, euro 13,80   

Siamo agli inizi di giugno del 1940. Dopo mesi di calma sul fronte occidentale, l’esercito tedesco passa improvvisamente all’attacco e occupa il Belgio neutrale, aggira la linea Maginot e rompe le difese francesi. Mussolini teme di perdere il «treno della storia» e si prepara a entrare in guerra. Cominciano così le manifestazioni «popolari» per la guerra, sollecitate e orchestrate dal regime, soprattutto negli ambienti scolastici e universitari. 
Manlio Cancogni ha ventiquattro anni e insegna storia e filosofia, con un incarico annuale, al Liceo Virgilio di Roma. Il fascismo, la sua retorica, le liturgie del regime e il concetto stesso di patria lo infastidiscono. Nella partita mondiale che si è aperta il 1 settembre 1939, tiene per la Francia e soprattutto per la Gran Bretagna. Quando scopre che i suoi studenti si apprestano a manifestare, li ferma sulla porta della scuola e li dissuade: «Vi rendete conto di ciò che state facendo? Per un’ora di vacanza voi andate a dar mano a chi vuole trascinarci in guerra».
Gli studenti tornano in classe, ma il preside, qualche giorno dopo, lo convoca nel suo studio e gli rimprovera l’imprudenza; non lo denuncia, ma non lo riassumerà alla ripresa degli studi, in settembre.
Qualche settimana dopo Cancogni sostiene le prove orali di un concorso per l’assegnazione di alcune cattedre di storia e filosofia nei licei. Il professor Chabod, famoso storico, ha letto con piacere il suo tema e lo ascolta con interesse. L’esaminatore di filosofia lo fa parlare del suo filosofo favorito, Bergson. Una tesi controcorrente sulle matrici storiche e culturali del Risorgimento crea fra gli esaminatori e l’esaminato un clima di complicità. E Manlio Cancogni, cacciato per antifascismo dal Liceo Virgilio di Roma, entra trionfalmente, poche ore dopo, negli organici del ministero dell’Educazione nazionale.
All’inizio del 1942, dopo un mese di guerra sul fronte albanese e una lunga licenza per malattia, torna all’insegnamento in un Liceo di Sarzana. Nel 43 lascia l’insegnamento e diventa redattore della Nazione di Firenze intraprende una doppia carriera, letteraria e giornalistica, che ha fatto di Cancogni uno dei più interessanti scrittori della sua generazione.





Manlio Cancogni (1916- 2015), giornalista, collaboratore dell’Espresso, scrittore, vincitore del Premio Strega nel 1973 con Allegri, gioventù e di un Premio Viareggio, è uno scrittore curioso e vario. Esordisce come narratore nel 1943 con Delitto sullo scoglio. Seguono numerosi romanzi e racconti, tra i quali La linea del Tomori (Mondadori, 1965), Azorin e Mirò (Rizzoli, 1968 e poi Fazi 1996), La vita nuova (1986) e Lettere a Manhattan (Fazi, 1997). Nel 1987 pubblica presso Longanesi Il genio e il niente con il quale vince il Premio Grinzane Cavour, biografia romanzata del pittore Guido Reni. Nel 1998 presso Fazi esce Matelda, "racconto di un amore", dove l’amore è quello per la poesia. Nel 2000 sempre presso Fazi, Manlio Cancogni pubblica Il Mister, delizioso romanzo-apologo sul calcio ambientato nella Roma fascista degli anni Trenta. 

Attilio Bertolucci, insegnante di storia dell’arte e grande poeta

Laureato a Bologna con il critico Roberto Longhi, il poeta insegnò storia dell’arte prima a Parma, poi per alcuni anni al Liceo Virgilio di Roma, la scuola frequentata dai figli Bernardo e Giuseppe.
Nato il 18 Novembre 1911 vicino Parma, Bertolucci frequentò il Convitto Nazionale di Parma, dove ebbe come insegnante Cesare Zavattini . Nel '28 collaborò alla Gazzetta di Parma, di cui Zavattini era nel frattempo diventato redattore capo e, l'anno successivo pubblicò “Sirio”, la sua prima raccolta di poesie. Nel '31 s'iscrisse alla Facoltà di Legge a Parma, nel '32 pubblicò “Fuochi in novembre”, che gli meritò gli elogi di Montale e di Sereni; nel '33 conobbe la compagna di tutta una vita, Ninetta Giovanardi. Abbandonati gli studi giuridici, frequentò le lezioni di critica dell'arte tenute da Roberto Longhi all'università di Bologna. Nel '38, le nozze con Ninetta. Attilio insegnò storia dell’arte a Parma, dove fondò con Ugo Guanda "La Fenice ", prima collana di poesia straniera in Italia. Il 17 marzo del '41 nacque il figlio Bernardo, il famoso regista, e nel '47 il secondo figlio, Giuseppe.



Attilio Bertolucci con il figlio Bernardo


Nel '51 Bertolucci si trasferì a Roma e riprese a insegnare storia dell’arte, dopo avere ottenuto un incarico al Liceo Virgilio. La moglie Ninetta in ottobre lo raggiunse nella capitale e in dicembre i due coniugi presero casa a Monteverde, in viale di Villa Pamphili, 15, dove per qualche anno abitò anche Pasolini.

Il '51 fu un anno felicissimo per Bertolucci: collaborò con la Rai come critico cinematografico (alla radio) e come autore di una trasmissione culturale (alla TV), pubblicò “La capanna indiana” da Sansoni e vinse il Premio Viareggio. Diventato consulente dell’editore Garzanti, conobbe Pasolini e Gadda.
Benchè molto amico di Elsa Morante (che frequentò insieme a Moravia, Penna e Pasolini), tardò a leggerne L’isola di Arturo; la scrittrice gli inviò allora una copia del suo libro con una dedica in forma d’arietta mozartiana (Aria di Arturo: «Ah barbaro esilio! | Ah vano desio! | Dal cuore d’Attilio | bandito son io...»). Nell’aprile 1953 ottiene, grazie a Ungaretti, il premio Villa d’Este-Montparnasse, consistente in un soggiorno in Francia. «Il mio preside, che aveva anche una cattedra di filosofia a Bari, (si tratta di Giuseppe Dell'Olio,ndr) mi ha permesso di stare via un mese, oltretutto dandomi lo stipendio (oggi si potrebbe essere indagati per questo).
A Parigi, in realtà, avrei potuto stare dei mesi, ma la “nostàlghia”... La Ninetta non è potuta venire, per via dei bambini. Stavo nel famoso Hôtel Lutètia, con dei meravigliosi inviti...» (All’improvviso ricordando, cit.). Nel 1954 abbandonò l’insegnamento al Liceo Virgilio perché ormai incompatibile con i troppi impegni: «Il bello è che [...] i miei allievi, non avendomi visto riconfermato [...], volevano fare una dimostrazione perchè pensavano che il Ministero non fosse stato contento del mio modo di fare lezione...» (All’improvviso ricordando, cit.).
Nel '71 pubblicò “ Viaggio d'inverno” probabilmente la sua opera più signficativa. Nel '75, dopo la morte di Pasolini, Bertolucci fu chiamato a dirigere - con Siciliano e Moravia - la rivista Nuovi Argomenti.
Per molti anni il poeta fu impegnato nella scrittura del romanzo “la Camera da letto”, che uscì in due libri, nell' 84 e nell'88, e vinse il Viareggio.
Il grande poeta si è spento il 14 giugno 2000.

Ex allievo Bernardo Bertolucci,
grande regista del '900






Nato a Parma nel 1941, figlio del poeta Attilio, da ragazzo si trasferisce con i genitori a Roma, abita a Monteverde e frequenta il Liceo Virgilio. Come il padre, anche lui è attratto dalla poesia. Dopo la maturità si iscrive alla facoltà di lettere, vince nel 1962 il Premio Viareggio con la composizione "In cerca del mistero", ma comincia a lavorare in  Accattone  come assistente alla regia di Pier Paolo Pasolini. L'anno seguente, debutta egli stesso con il lungometraggio  "La comare secca", su soggetto e sceneggiatura del suo maestro. Nel 1964 firma "Prima della rivoluzione", e nel '67 collabora alla sceneggiatura di "C'era una volta il West" di Sergio Leone; l'anno dopo dirige Partner, ispirato a "Il sosia" di Dostoevskij nel quale convergono le nuove esperienze culturali della contestazione.
Nel '70 è la volta di "Strategia del ragno" 
ispirato da Borges e "Il conformista", tratto da Moravia: due titoli fondamentali che preludono al celeberrimo "Ultimo tango a Parigi" (1972), film di grande successo, segnato in patria dalla censura.
È del 1976 la sterminata saga di "Novecento", epopea delle lotte contadine in Emilia e soprattutto nella sua Parma.
 "La tragedia di un uomo ridicolo" (1981), con Ugo Tognazzi, è invece un ritratto penetrante dell'Italia contemporanea.
Con L'ultimo imperatore (1989), vincitore di ben nove premi Oscar tra cui quello per la miglior regia, di nove David di Donatello e quattro Nastri d'Argento in Italia, in Francia del Cèsar per il miglior film straniero, inizia una trilogia di superproduzioni d'autore, proseguita con "Il tè nel deserto" (1990) e con "Il piccolo Buddha" (1993). Nel 1996, invece, gira "Io ballo da sola", ambientato in una villa del Chiantishire, nel 1999 il film tv L'assedio.

i.


Laura Bianchini, partigiana e deputata,
insegnante di storia e filosofia al Virgilio dal 1953 al 1973.






Donne partigiane il 25 aprile 1945

 Nata vicino Brescia nel 1903, docente di storia e filosofia al Liceo Arnaldo di Brescia, cattolica antifascista, è attiva nella Resistenza bresciana e milanese: redattrice del giornale clandestino “Il Ribelle” - sul quale si firma con gli pseudonimi di Penelope, Don Chisciotte, Battista -, membro del comando delle Fiamme verdi e dell’esecutivo del “Comitato di liberazione nazionale alta Italia”.
La professoressa Bianchini ospitò in casa propria le prime riunioni di esponenti militari e politici dell’antifascismo bresciano, elaborò scritti e compilò numerosi testi per volantini clandestini.

Presto sospettata dalla polizia fascista, venne costretta agli inizi del 1944 a cercare rifugio a Milano dove ricevette l’incarico di coordinare la stampa clandestina.
La guerra di liberazione di Laura Bianchini assunse, dunque, le caratteristiche di un impegno culturale ed ideale, di una appassionata opera di organizzazione dei soccorsi ai detenuti politici del carcere di San Vittore e di assistenza alle famiglie ebree ricercate dai nazifascisti.
Eletta deputato alla Costituente il 2 giugno del 1946 nelle file della Democrazia cristiana - fra gli schieramenti interni della DC aderisce a quello cristiano sociale che ha come leader Giuseppe Dossetti.
Laura Bianchini viene di nuovo eletta il 18 aprile del 1948 si impegna particolarmente nella commissione Pubblica istruzione e belle arti della Camera.

Nel 1953 si ritira dalla vita parlamentare e riprende l’attività di insegnante di filosofia presso il Liceo “Virgilio”, dove rimane in servizio come insegnante di storia e filosofia fino al 1973; per lungo tempo attiva nei movimenti dell’Azione cattolica e della Fuci, muore nella capitale il 27 settembre del 1983.


Il Ribelle di Brescia e Milano (1944-1946)
Il 5 marzo del 1944 il primo numero del "Ribelle" fu diffuso con una tiratura di 15 mila copie riscuotendo un successo enorme e la pubblicazione si protrasse per tutti i mesi della lotta di liberazione. Espressione dei cattolici delle “Fiamme Verdi”, il giornale pubblicò 25 numeri e una serie di 11"Quaderni", nei quali, oltre a svolgere un’analisi del fascismo, furono stilati i princìpi che avrebbero dovuto regolare la nuova società e ipotizzate alcune soluzioni ai problemi, quali ad esempio il rapporto fra Stato e Chiesa, che sarebbero sorti all’indomani della liberazione.
"Il Ribelle", contando su squadre di distributori e sul sostegno dei cattolici, raggiunse i maggiori centri del nord Italia arrivando a Roma e anche in Svizzera. I collaboratori furono all’incirca una ventina e fra i più noti vi era Laura Bianchini.

Incontro di due classi con l’avvocatessa Marisa Gnocchi Nanni,  ex allieva del Virgilio.

La dottoressa Nanni abita da quaranta anni in via Giulia, proprio davanti al portone del Virgilio, la scuola dove ha preso la maturità, poi frequentata anche dal figlio Nicola, anche lui avvocato. L’abbiamo invitata a parlarci di come era il Virgilio negli anni della guerra.

- Dottoressa, che ricordi ha degli anni di guerra al Virgilio ?

Abitavo a Monteverde, in via Poerio, e venivo a scuola al Virgilio in tram. Mi ricordo ancora del ’38, quando schierarono in cortile tutti noi studenti in divisa di balilla - i ragazzi- o di giovane italiane – le ragazze-, e Mussolini venne ad inaugurare l’edificio appena restaurato. Io ero molto giovane e vivevamo in un regime in cui non c’era informazione, ma solo propaganda. Grazie ad un mio zio antifascista, che per questo suo atteggiamento era stato cacciato dal posto, avevo sviluppato qualche opinione sulla situazione politica e sulla guerra. E poi mio zio aveva molti libri, e a casa mia leggevamo i suoi libri.



Mussolini inaugura il Virgilio nel 1938 dopo la ricostruzione 

Nella scuola la situazione era tranquilla, i professori non facevano propaganda fascista, anzi erano bravi e cercavano di farci intendere i valori dell’umanesimo attraverso lo studio dei classici. In classe mia c’erano due ragazzi, Trezzini e Miranda, che partecipavano ad attività antifasciste clandestine. Solo dopo la guerra ho saputo che a scuola c’era un insegnante di matematica e fisica del gruppo dei fisici di via Panisperna, il professor Luigi Fagiolo, che faceva delle riunioni politiche nell’aula di fisica.
Alla fine del ’42 si capì che la guerra andava male, c’erano le sconfitte in Africa, nei Balcani, in Russia. In città la situazione cominciò a cambiare: ricordo che un giorno, mentre tornavo a casa in tram, un ragazzo, un giovane operaio che stava sul tram, fischiò, in segno di scherno, due poliziotti che perciò lo volevano arrestare, ma gli altri passeggeri, soprattutto donne, li costrinsero a lasciarlo andare.
Per tanti ci fu una presa di coscienza e passarono all’opposizione come era possibile, esprimendo comunque posizioni antigovernative. La gente cominciava a rendersi conto della situazione e quando i tedeschi fecero la retata nel ghetto molti si adoperarono per salvarli; così il giorno dopo il massacro delle fosse ardeatine molte persone, soprattutto donne, si radunarono davanti alle cave. Certamente una gran parte della popolazione romana ha vissuto l’antifascismo, a diverso livello. Non tutti erano disposti ad essere eroi, ma la gente imparava a dire no, dopo aver detto sempre sì per tanti anni.



Una classe di scuola media durante il ventennio fascista


- Ricorda cosa successe dopo l’8 settembre ?

Dopo l’8 settembre ci fu l’occupazione tedesca della città e c’era molta incertezza sul futuro; ricordo però la sorpresa la mattina del 7 novembre del ’43, quando, arrivando a scuola, trovammo dei disegni con falce e martello e le scritte “viva la rivoluzione d’ottobre” “viva il socialismo” sui muri della scuola sul lungotevere. Le scritte erano molte, fatte con uno stampino, e poco dopo furono cancellate, ma colpirono molto noi studenti. Qualcuno aveva rischiato la vita per fare quelle scritte; poi ho saputo che era stato un ragazzo che abitava in via Giulia, Marcello Moretti.

Nel 1943-44 io facevo il secondo liceo: andavo bene a scuola, avevo la media dell’otto. Non mi andava di stare a scuola un altro anno, ero brava in latino e greco, e così potei saltare il terzo liceo, come prevedeva allora la legge. Diedi perciò la maturità direttamente alla fine del secondo anno, in classe mia andammo in quattro cinque direttamente agli esami di terza. Mi ricordo che il quattro giugno, il giorno dell’arrivo degli americani a Roma, diedi l’orale. Non ero molto preparata nei programmi del terzo, ma c’era una grande confusione.

 Poi mi sono iscritta alla facoltà di giurisprudenza e mi sono laureata in legge. In quegli anni ho acquisito una passione politica che mi ha accompagnata per tutta la vita, mi sono iscritta al partito comunista, ho lavorato cinque anni all’ufficio stampa della Cgil, dal ’49 al ’54, ed ho visto nascere tante leggi, quella sulla scala mobile, la maternità. Poi ho fatto l’avvocato del lavoro.



Alberto Ronchey, ex allievo
Roma, 27 settembre 1926 – Roma, 5 marzo 2010


Alberto Ronchey, nasce a Roma nel 1926, ha frequentato il Liceo Virgilio negli anni '40 dove ha frequentato il Corso I ed è stato allievo del professor Carlo Dionisotti, di cui ricorda “la personalità di forte autorevolezza” in un editoriale del Corriere della Sera.
E' stato direttore della "Voce repubblicana", inviato speciale e poi direttore della "Stampa", dal 1968 al 1973 editorialista del "Corriere della Sera" e in seguito di "Repubblica", ha scritto anche per diversi settimanali ("Il Mondo", "L'Espresso", "Panorama").
È stato ministro per i Beni Culturali e Ambientali dal giugno 1992 al maggio 1994 e in seguito presidente del Gruppo editoriale Rizzoli-Corriere della Sera.

Tra le sue numerose opere di attualità e politica ricordiamo: La Russia del disgelo (1963) ; Atlante ideologico(1973); La crisi americana (1975), Accadde in Italia. 1968-1977 (1977); Libro bianco sull'ultima generazione (1978); Diverso parere (1983); Giornale contro (1985); I limiti del capitalismo (1991); Fin di secolo in fax minore (1995),Atlante italiano (1997) e Accadde a Roma nell'anno 2000 (1998).
Giornalista conservatore, inventore del fattore K per Komunismo, utilizzato in un editoriale sul Corriere della Sera del 30 marzo '79 per giustificare il mancato ricambio delle forze politiche governative nei primi cinquant'anni della repubblica italiana. L'alternanza era impedita dalla presenza di un grande partito comunista, principale forza di opposizione, che, per ragioni di alleanze ed equilibri internazionali, non poteva giungere al potere.

Il Fattore R

"Noi dobbiamo a Ronchey" ha scritto Indro Montanelli "alcuni dei migliori saggi apparsi negli ultimi trenta o quarant'anni nella carta stampata, non soltanto italiana, di politica, economia, sociologia (quella vera): frutto di lunghi soggiorni in tutti i paesi d'Europa, in America, in Cina, in Giappone, d'indagini da 007 nelle loro viscere, di attente e vaste letture." 

Alberto Ronchey è la compiuta incarnazione di un giornalismo tutto fatti, non ideologico, empirico e molto anglosassone (nelle sue vene, del resto, scorre anche sangue scozzese). È un italiano anomalo, ma orgoglioso di essere figlio di una città amata e odiata come Roma. 

A sedici anni, prima del 25 luglio 1943, correggeva le bozze e scriveva articoli per fogli clandestini. Da allora ha scritto per i maggiori quotidiani nazionali, ha raccontato l'Unione Sovietica di Chruscev "superpotenza sottosviluppata", Berlino appena divisa dal muro, Cipro sconvolta dalla guerra fra greci e turchi, l'America di Kennedy, l'India, il Giappone, il Sud dell'Italia e la questione meridionale. 
È stato l'unico giornalista a raggiungere Kindu dopo il massacro dei tredici caschi blu italiani. Ha scritto numerosi libri, ha inventato formule politiche come la "lottizzazione" per la Rai e il "fattore K" per il partito comunista; è stato docente di sociologia a Cà Foscari, ministro dei Beni Culturali con i governi Amato e Ciampi, presidente della Rcs. 

È probabilmente il maggior esponente di un giornalismo capace di raccontare il mondo grazie all'osservazione diretta e a un bagaglio continuamente rinnovato di letture, riflessioni, approfondimenti. In questa conversazione, brillantemente condotta da un'altra grande firma del giornalismo italiano come Pierluigi Battista, Ronchey ci guida attraverso le svolte e le crisi che hanno segnato gli ultimi sessant'anni della storia italiana e mondiale.
 E il pessimismo, il disincanto, il rifiuto delle mode che, insieme al leggendario perfezionismo, costituiscono i tratti caratteristici di uno stile di vita e di pensiero, vanno di pari passo con la curiosità e il bisogno sempre vivo di conoscere e capire il nostro mondo.


Dal liceo Virgilio alla diplomazia "segreta" vaticana
 a cura di Sandro, Adriano  e Luca 

Andrea Riccardi fondatore  di Sant'Egidio, comunità sessantottina 
 Nato a Roma il 16 gennaio 1950


Una storia che inizia nel   '68 e questo potrebbe già spiegare molte cose. Per esempio il fatto che al liceo "Virgilio" ci fossero dei borghesissimi studenti che volevano cambiare il mondo. Tra questi c'era Andrea Riccardi che aveva divorato il Vangelo e che ai classici marxisti preferiva i teologi cattolici del Concilio Vaticano II. Per farla breve il 7 febbraio del 1968, il giovane Riccardi studente dell’ultimo anno di Liceo, mentre la stragrande maggioranza degli studenti della scuola è di  sinistra, fonda un suo gruppo cattolico.


Da Gioventù Studentesca alla Comunità

 I  futuri membri di Sant'Egidio fanno   parte   di una cellula di Gs nel liceo Virgilio di Roma. Gs è la sigla di Gioventù studentesca, l'organizzazione fondata da don Luigi Giussani che più tardi, passata il sessantotto, prenderà il nome di Comunione e liberazione. Riccardi vi si era avvicinato negli anni di ginnasio. Dopo di che  aveva collegato  i giessini del Virgilio, del Dante, del Mamiani. Ma con loro ci sono anche Rocco Buttiglione e la sua futura moglie Maria Pia Corbò, che tireranno poi dritto con don Giussani. Se il gruppone si disfà, tre, quattro anni dopo, è perché se ne va via il prete che l'aveva tenuto assieme, Luigi Iannaccone.
È solo a quel punto, inizio 1972, che Riccardi e i suoi si mettono in proprio, con astio nei confronti dei fratelli separati di Cl.
Chi erano e dove andavano questi cattolici  non era facile capirlo. Uno dei loro slogan era "dalla parte dei figli delle donne di servizio", un motto che metteva in evidenza sia le origini borghesi sia le aspirazioni rivoluzionarie dei primi militanti.
 

Nel settembre del 1973 fissano finalmente il loro quartier generale a Sant'Egidio. Sparite le ultime monache, l'edificio era rimasto vuoto, malandato. È di proprietà del ministero degli Interni, che glielo cede in cambio d'un affitto di poche lire. Chiavi in mano compreso il restauro, eseguito prontamente a spese del ministero.

Riccardi, un leader carismatico

Oggi il professor Andrea Riccardi ha  51 anni,   è sempre  presidente della comunità di Sant'Egidio ed è docente universitario di Storia del cristianesimo.
La sua comunità è  acclamata  anche all'estero, dove   ha  dato molte prove della sua arte diplomatica contribuendo alla soluzione di molte crisi internazionali. Il vero miracolo della Comunità è stata la pace in Mozambico, firmata   nell’ex monastero di Trastevere dopo un   negoziato che aveva visto  la Comunità riuscire dove aveva fallito la diplomazia internazionale.

Tanti militanti ?

Ma chi sono gli 8 mila romani che – dicono- fanno capo al centro trasteverino? Risposta difficile. Perché non sono insediati nei posti chiave del potere politico ed economico  No, quella della Comunità di Sant'Egidio è tutta un'altra storia. Una storia di poveri e nomadi, di barboni ed extracomunitari.
 "Cominciammo dalle baracche, il Terzo mondo sotto casa", ricorda oggi il giornalista Mario Marazziti, 51 anni (ma sembrano molti dimeno da quando si è tagliato la barba).
La prima missione fu a ponte Marconi, alla baraccopoli che era sorta sotto il Cinodromo. "Facevamo la cosiddetta scuola popolare", spiega Marazziti "andavamo lì il pomeriggio, appena usciti da scuola in via Giulia, riunivamo i bambini delle baracche e gli insegnavamo a scrivere e leggere". L'esperimento funzionò e da ponte Marconi le scuole popolari vennero estese alla Garbatella, a Primavalle e in breve in tutte le zone calde della periferia romana.
Nel frattempo la Comunità è cresciuta  Comunità cambia rotta sui nuovi poveri: i barboni, per i quali faranno anche una specie di guida Michelin su come sopravvivere; e poi gli zingari.

 I GIOVANI RIVALUTANO GLI STUDI CLASSICI

Il liceo alla riscossa: torna di moda il classico culturale. Il liceo è formativo e fornisce gli strumenti mentali per interpretare la realtà"

I GIOVANI RIVALUTANO GLI STUDI CLASSICI
Il liceo alla riscossa: torna di moda il classico
Intervista di A.M. Sersale alla preside Rosanna Bornoroni
del Liceo Virgilio
(dal Messaggero 15/05/'02)


- Preside, cosa ha determinato la ripresa ?


"Le sperimentazioni hanno introdotto molti cambiamenti. Soprattutto le lingue straniere. Qui, ad esempio, abbiamo corsi a numero chiuso. Siamo costretti a respingere gli alunni perché non siamo in grado di crescere di più. Abbiamo 920 iscritti e durante le prescrizioni abbiamo dovuto dire molti no".
-Le lingue moderne hanno soppiantato il greco ?
"Non direi questo. Ci sono corsi tradizionali, con latino e greco. Ce ne sono altri, sperimentali, con tre lingue: per tutti inglese, francese e tedesco o spagnolo e francese. Gli indirizzi linguistici si appoggiano ad una matrice classica, con lo studio della letteratura italiana e di quelle straniere. Il latino non viene sminuito, continua ad avere un'importanza strategica. Quanto alle lingue moderne i ragazzi raggiungono i livelli più elevati e possono iscriversi nelle università straniere. Al momento abbiamo cinque ex alunni che si stanno laureando alla Sorbona".
- I giovani hanno riscoperto il liceo, perché ?
"Hanno capito che nessuna specializzazione vale quanto una buona preparazione culturale. Il liceo è formativo e fornisce gli strumenti mentali per interpretare la realtà"

Intervista di Manuela Caramini a Settimia Spizzichino
Sopravvissuta ad Auschwitz
Roma, 15 aprile 1921 – Roma, 3 luglio 2000

All'inizio dell'anno scolastico abbiamo trattato a scuola il tema della persecuzione degli ebrei e dei campi di sterminio. Così, quando una mia amica mi ha proposto di incontrare una sopravvissuta di Auschwitz, ho subito accettato di andare a trovare la signora Spizzichino per una conversazione di un'ora circa che io ho trascritto.
PS: Qualche settimana dopo la mia intervista la signora Spizzichino è morta. Le sono grata di avermi fatto conoscere un lato della storia che ha cambiato il mondo.

Sono nata a Roma e da una modesta famiglia del Portico D'Ottavia. Mio padre era commerciante di libri e mia madre maestra alla scuola ebraica. Quando i tedeschi occuparono Roma pensavamo che fosse una mossa di Hitler per cambiare le sorti della guerra; inoltre i nazisti ci facevano credere che le misure che prendevano (il ghetto, la raccolta del nostro oro) servisse per proteggerci, per metterci in salvo.


Può raccontarmi del giorno in cui fu catturata?

- E' stato un giorno che mi è rimasto impresso, non solo  nel cuore ma anche negli occhi: la mattina del 16 ottobre 1941 verso le sei cominciammo a sentire rumori pesanti e voci che gridavano in tedesco di uscire dalle case. Quando portarono via me e la mia famiglia i tre quarti delle persone del ghetto erano già state portate via. Un'immagine che non riesco a scordare è la casa della mia amica Anna vuota, con sopra il letto tutte le sue bambole. Scesi da casa, con i fucili puntati ci misero in fila dicendoci sempre che era per il nostro bene. La mia sorellina di cinque anni si stringeva con gli occhi impauriti al collo di mia madre. Usciti dal ghetto ci fecero salire su dei camion e ci portarono alla stazione dove ci caricarono su dei treni con la scritta "Juden" e la stella di David. Io a quel tempo avevo diciotto anni e non avevo idea che gli ebrei fossero considerati una razza inferiore, o , come diceva qualcuno, "i demoni della rovina della Germania".


Come avvenne la deportazione in Germania?


- Quando ci fecero salire su quei grandi treni; solo allora capii che molti di noi non sarebbero tornati. Viaggiammo ammassati per circa tre giorni in un vagone senza sapere neanche l'ora, perché prima di salire ci avevano preso tutte le cose di valore. Dentro al treno eravamo l'uno attaccato all'altro e non c'era neanche l'aria per respirare. L'unico ricambio d'aria era una piccola fessura sul lato destro del vagone. La gente era costretta a fare le urine e le feci nel posto in cui si trovava. Io oltre al cattivo odore sentivo soltanto i lamenti dei bambini affamati e delle persone impaurite. Mio padre era l'unico che ci diceva di stare tranquilli perché saremmo arrivati in un posto scelto per gli ebrei, ma io nei suoi occhi leggevo tanto terrore. Dopo tre giorni di viaggio il treno si fermò, molta gente era morta per assideramento; quando aprirono i vagoni la luce ci accecò perché eravamo sempre stati al buio. Due soldati spingendoci con i fucili ci fecero scendere dal treno: le donne furono avviate da una parte, gli uomini dall'altra.

Quando si è resa conto di essere in un campo di concentramento ?
- I soldati ci portarono in uno stanzone dove due tedeschi in camice bianco ci esaminarono scegliendo chi doveva andare a fare la doccia (poi sapemmo che andavano nelle camere a gas) e chi doveva andare nei campi di lavoro. Quella fu l'ultima volta in cui vide mia madre e mia sorella. A notte fonda fummo portati in grandi baracche con dentro persone che sembravano scheletri. Allora cominciai a capire che l'incubo forse non sarebbe mai finito.
Qualche giorno dopo un medico di nome Himmler cominciò ad usarmi come cavia per i suoi esperimenti. Nel suo laboratorio passarono molte coppie di gemelli. Mi ricordo di due gemelle con gli occhi scuri e capelli biondi. Dopo circa una settimana le vidi trasformate: avevano gli occhi azzurri e la pelle molto gonfia. Poi seppi che Himler faceva ogni sorta di esperimenti sui gemelli.

Qual' è il ricordo peggiore che le è rimasto di Auschwitz ?
- Un numero tatuato sul braccio mi ricorda ogni giorno il genocidio vissuto sulla mia pelle. Adesso sono una donna anziana, ho ottanta anni e vivo una vita semplice, ma mi impegno ogni giorno a far conoscere alle nuove generazioni a cosa portano l'odio e il razzismo.

Alle 12 il presidente della repubblica Carlo Azeglio Ciampi ha parlato agli studenti nel corso di una cerimonia in cui erano presenti molte autorità del Ministero e dello stato ed ha premiato i lavori di scuole elementari e medie di un concorso sulla Shoah. Il pranzo offerto ai visitatori è stato preparato dagli IPSAR, istituti per la ristorazione, della Toscana, che hanno presentato in tal modo la storia e le tradizioni culturali della regione nella cucina.


- L’incontro con il Presidente Ciampi: il dovere della memoria.
"Le leggi razziali favorirono l’olocausto“ „Non soltanto non dimenticare, ma ricordare, ossia conservare il passato nel cuore oltre che nella mente" - Lo sterminio di oltre un quinto degli ebrei italiani „non fu dovuto solo alla barbarie nazista ma fu reso possibile anche dalle vergognose leggi razziali del 1938“.
Durante la cerimonia il presidente della Repubblica ha inoltre affidato alle nuove generazioni „il compito di sviluppare e completare il progetto europeo“, partendo „dall’esempio dei Giusti, che rischiarono e qualche volta sacrificarono la loro vita per salvare fratelli incolpevoli“ cioè gli ebrei. „Con un moto spontaneo degli animi- spiega il presidente- la mia generazione sperimentò uno slancio istintivo di sopravvivenza, di fratellanza che fece dire: mai più guerre tra noi“.
Un inutile massacro fra popoli che erano „eredi e partecipi di una stessa civiltà e che si riconoscevano in ideali e principi: libertà, democrazia, tolleranza, uguaglianza dei diritti, fratellanza tra i popoli. Un unico patrimonio di valori costruito nei secoli.“ A fronte delle „vergognose leggi razziali“, evidenzia il Presidente della Repubblica, ci sono „civili, militari, religiosi che soccorsero i perseguitati, salvandone e proteggendone molte migliaia“. 295 di questi eroi silenziosi ( i Giusti, ndr) sono ricordati a Gerusalemme per atti eccezionali di coraggio e „sono innumerevoli gli episodi che ancora non conosciamo“. A sessanta anni dall’immane tragedia „di tanti italiani Giusti non sapremo mai il nome, come per tanti anni abbiamo ignorato i Perlasca e i Palatucci“ ma sappiamo „che hanno onorato l’Italia contribuendo a tenere viva la patria“.

 


 "Somnium Scipionis"
 
  di Ilaria Cianchetta

Il "SOMNIUM SCIPIONIS" di Cicerone, di Ilaria Cianchetta
Il "Somnium Scipionis" è l'ultimo libro del "De Republica" di Cicerone. E' un trattato filosofico- politico, in cui Cicerone, cogliendo l'occasione etico- morale data dal tema del suo libro, esprime la sua idea sulla struttura del cosmo. "ERAT AUTEM IS SPLENDISSIMO CANDORE INTER FLAMMAS CIRCUS ELUCENS".


Nel capitolo 3.16 l'Africano spiega a Scipione Emiliano dove si trovi la sua anima e di come fare affinché anch'egli raggiunga la gloria celeste. Riprendendo la concezione pitagorica e platonica dell'immortalità dell'anima, Cicerone immagina che l'anima dell'Africano si trovi nella via Lattea, nella sfera delle stelle fisse, dove per Pitagora non solo si trovavano le anime dei virtuosi, ma anche i sogni. Sempre in questo capitolo Cicerone delinea già la descrizione dell'universo dicendo che da dove si trova l'Africano e dal suo punto di vista, ossia dalla sfera delle stelle fisse, si possono vedere stelle mai viste prima dalla Terra e la più piccola di queste, e la più lontana dal cielo, perché più vicina al centro dell'universo, è la Luna. Nel capitolo 4.17 c'è la prima vera e propria descrizione del cosmo. Cicerone arriva alla sua definizione tramite diverse filosofie, il secondo stoicismo, il platonismo, il pitagorismo, e la concezione aristotelico- tolemaica dell'universo. Per Cicerone quindi, il Sistema Solare è costituito da 9 sfere celesti, che, come Aristotele, considera fatte di cristallo, incorruttibili ed eterne, di cui la prima è quella delle stelle fisse.
Questa contiene in se' gli altri 8 cieli che prendono il nome dai pianeti che vi sono incastonati. Saturno, Giove, Marte, il Sole (il pianeta più grande che funge da regolatore dell'ordine dell'universo, secondo la posizione stoica dei filosofo Posidonio), Venere e Mercurio, suoi satelliti, e il cielo della Luna. Questi cieli, secondo la filosofia aristotelíca, ripresa anche nel "Somníum", girano seguendo moti circolari perfetti in senso contrario al moto della sfera delle stelle fisse.
C'è da aggiungere però che per Aristotele le sfere celesti non erano affatto 9, ma 52, solo così infatti poteveno essere spiegati tutti i fenomeni astrali. La Terra costituisce l'ultima sfera ed è soggetta alle leggi della corruttibilità e dal moto rettilineo. Per spiegare il perché della sua posizione bisogna accennare alla Fisica di Aristotele. Questi credeva che esistessero 4 elementi nel "mondo sub- lunare": terra, acqua, fuoco ed aria. Per definizione a causa della loro pesantezza o leggerezza (qualità intrinseche) ognuno di questi elementi aveva un suo "luogo naturale": il fuoco e l'aria l'alto, l'acqua e la terra il basso. Quindi, essendo la terra l'elemento più pesante, doveva per forza costituire il centro dell'universo. Nel capitolo 5.18 alle concezioni stoica e aristotelica, prettamente scientifiche, del cosmo, si aggiunge la componente pítagorico- magica dell'armonia dell'universo. Cicerone infatti afferma che le calotte che costituiscono i 9 cieli, girando producano dei suoni. Questi suoni erano particolarmente gravi o acuti a seconda della vicinanza o lontananza delle sfere celesti con la Terra, o a seconda della velocità di rotazione. I suoni prodotti erano 7, poiché Mercurio e Venere, essendo satelliti del Sole ed avendo uguali orbite producevano lo stesso suono. Il numero 7, come il numero 9, acquista così un'aurea di magia e diventa chiave interpretativa dell'universo.


Campi estivi Natura nel Parco Nazionale d'Abruzzo- 2003 (?)
Le attività di educazione ambientale e di fotografia naturalistica suscitavano molto  interesse tra gli studenti, per cui - per alcuni anni- a conclusione dell'anno scolastico un folto gruppo di ragazze e ragazzi prendeva parte ad un campo di una settimana nel parco d'Abruzzo per conoscere quel bellissimo territorio protetto.

 



A 1700 mt. sotto il monte Meta nel Parco Nazionale d'Abruzzo.
Ogni anni, a giugno, a scuola chiusa, avevamo preso l'abitudine di organizzare una settimana di  campo scuola per far conoscere a studenti e studentesse il Parco Nazionale.
Con Damiano Vagaggini, insegnante di fotografia e con il prof. Giuseppe Panuccio, responsabile delle attività extra-curriculari


La biblioteca ermetica del professor Verginelli e del compositore Nino Rota 
«Davanti alla loro collezione di libri, i miei occhi si perdevano in un tripudio di illustrazioni e dettagli visivi: simboli da interpretare, raggi che si diramano, bocche che invitano al silenzio, occhi, triangoli, cuori alati, serpenti, cerchi magici e geometrie sacre, a simboleggiare, a seconda dei casi, immortalità, sapienza, umiltà, desiderio di conoscenza; e poi ancora calcoli numerici e diagrammi, arditi e complessissimi, come a voler fermare l’inafferrabile, su carta, almeno per un momento»


(foto Livia Satriano, Fondo Myriam. Biblioteca “Giorgio Petrocchi”, Università Roma Tre)
«Tutte le storie sono storie d’amore», scriveva qualcuno in un incipit molto bello di un po’ di anni fa. Ed è di una storia d’amore che voglio parlarvi, o meglio, di due. Di amore per i libri, che creano connessioni, e di amore per le persone che incontriamo e con cui nascono legami. Il primo tipo di amore, quello per i libri, mi ha spinto ad andare a Roma, una mattina di inizio gennaio. Avevo letto su internet la storia di una collezione di libri appartenuti al compositore Nino Rota. Avevo scoperto l’articolo in una di quelle ricerche notturne senza meta che sembrano non finire mai. Non ricordo bene come fossi finita sull’argomento, ma non era la prima volta che i libri mi chiamavano a sé.

Da sette anni curo una pagina in cui provo a raccontare la cultura libraria e tutto ciò che a essa sta intorno, che spesso prescinde dal contenuto: le copertine e le immagini, le storie di chi i libri li ha pubblicati o raccolti. I libri contengono molte più informazioni di quelle che racchiudono fra le pagine, storie invisibili che riguardano la memoria e il vissuto di chi quei volumi li ha letti, amati, conservati. Scoprire e condividere queste storie è diventata un po’ la mia ossessione.

Ho sentito subito che la vicenda dei libri di Nino Rota mi riguardava. Se della sua vita si può non essere del tutto a conoscenza, sembra impossibile non aver ascoltato almeno una volta una delle sue melodie: la marcetta di 8½ o il leitmotiv di Amarcord, il valzer del Gattopardo o il tema del Padrino. Nino Rota, che nacque a Milano il 3 dicembre 1911 e morì a Roma il 10 aprile 1979, quarantacinque anni fa, ha composto alcune fra le più belle colonne sonore della storia del cinema ed è autore di quasi tutte le musiche dei film di Fellini. Le sue note appartengono al nostro immaginario, assomigliano a ricordi che abbiamo sempre avuto, nostalgie di infiniti vissuti e non vissuti.

Del secondo tipo di amore, quello per le persone, mi arriva una testimonianza quando cercando online mi imbatto in questa frase: «Stavamo sempre insieme. Libri e musica. Musica e libri». A scriverla è Vincenzo “Vinci” Verginelli, uomo di lettere e professore del liceo Virgilio di Roma. Appunta queste parole in ricordo di Rota nell’introduzione di un volume molto particolare: Bibliotheca Hermetica. Catalogo alquanto ragionato della raccolta Verginelli-Rota di antichi testi ermetici. Verginelli è stato l’amico fraterno di Nino Rota, si erano conosciuti nel 1939 a Bari, dove Rota insegnava al Conservatorio. Entrambi condividevano gli antichi ideali della filosofia ermetica e una passione bibliofila che li spinse a ricercare e acquisire insieme sempre nuovi libri.

La collezione è comune, di Rota e Verginelli. La sua storia riguarda anche la loro amicizia e le cose in cui hanno creduto, quello che si sono dati e che hanno dato agli altri. La prima parte della loro biblioteca, come documenta il catalogo, è stata donata all’Accademia dei Lincei, dove è ancora conservata. Una seconda parte, più “moderna”, è stata invece data da Verginelli al Circolo ermetico Virgiliano di Roma, di cui sia lui che Rota erano membri. Una ventina d’anni fa il fondo è passato alla Biblioteca “Giorgio Petrocchi” dell’Università Roma Tre, dove dopo una lunga e complessa opera di catalogazione e di restauro è ora disponibile per la consultazione.

È qui che la storia dei libri della collezione Verginelli-Rota si ricollega alla mia, e a quel viaggio fatto a Roma una mattina di inizio gennaio.


Da dove arriva la passione di Vinci Verginelli e Nino Rota per l’esoterismo e il mondo dell’occulto? Nei primi anni Venti del secolo scorso Verginelli, pugliese e giovanissimo, era entrato in contatto con la dottrina di Giuliano Kremmerz, pseudonimo di Ciro Formisano, esoterista originario di Portici e fondatore di una corrente di pensiero ermetico. Il suo percorso iniziatico comincia dall’idea di raccogliere libri sull’argomento.

A distanza di molti chilometri, a Milano, più o meno negli stessi anni, i libri affascinano anche il giovane Nino Rota che, per interesse e cultura familiare, ne era circondato. Rimasto orfano di padre, Rota era molto legato alla madre Ernesta Rinaldi, pianista e figlia d’arte a sua volta, una donna di profonda cultura e vaste letture. C’è un’immagine molto bella che Ernesta tramanda del piccolo Nino, enfant prodige celebrato come «nuovo Mozart» dalle pagine dei giornali francesi, dopo essersi esibito oltralpe con il suo primo oratorio composto a undici anni. È un’immagine in cui lo vediamo ritratto nella sua quotidianità casalinga, sdraiato su un tappeto e circondato dai libri. Nino infatti trascorreva, come rapito, ore e ore sul tappeto fra tomi ed enciclopedie, senza mai stancarsi di leggere e osservare le figure di quei volumi così grandi che, alle volte, parevano sovrastarlo.


Nino Rota, il musicista preferito di Fellini

Che siano state le letture della biblioteca materna a indirizzarlo verso nuovi e diversi orizzonti? Fra i tanti titoli della sua collezione, infatti, figurano anche un libro di iniziazione alla dottrina buddista e un manuale di chiromanzia appartenuti proprio alla madre Ernesta. Non possiamo esserne certi, ma è sicuro che una figura “guida” in questo senso sia stato per Rota il professore Michele Cianciulli, insegnante di filosofia, antifascista e massone del Grande Oriente d’Italia, che lo preparò negli studi per l’esame di maturità. Cianciulli stimolò in Rota la curiosità verso i mondi e le dottrine esoteriche e, in seguito, gli lasciò in eredità tutti i suoi libri, confluiti poi in parte anche all’interno della collezione Verginelli-Rota.


I libri della collezione, che ho avuto modo di visitare quel mattino di gennaio, sono circa 2.500 e per la maggior parte in italiano. Hanno tutti una targhetta con la dicitura MYR, da Myriam, nome del fondo e omaggio alla Fratellanza di Myriam, associazione di «volontà umane votate al bene dell’umanità» fondata da Kremmerz, “maestro” di Verginelli e Rota. Raccontarli tutti sarebbe operazione pressoché impossibile, ma proverò brevemente a dare un’idea dei libri che ho visto.



(foto Livia Satriano, Fondo Myriam. Biblioteca “Giorgio Petrocchi”, Università Roma Tre)

Nel fondo di Rota ci sono naturalmente molti nomi di spicco del panorama esoterico di fine Ottocento e inizio Novecento come Helena Petrovna Blavatsky, fondatrice della Società Teosofica, o Charles W. Leadbeater e Annie Besant, anch’essi teosofi. Ci sono i libri e la visione del mondo di Rudolf Steiner, l’iniziatore dell’antroposofia, e le riflessioni di autori come René Guénon, guidati invece dalla volontà di gettare un ponte tra pensiero orientale e occidentale, o ancora l’interessamento e le incursioni nello spiritualismo di Carl Gustav Jung. Non mancano ovviamente i testi dei padri dell’occultismo moderno come Eliphas Lévi, Aleister Crowley, Papus, e un’attenzione particolare verso la dottrina ermetica attraverso testi che diffondono gli insegnamenti della scuola di Kremmerz.

Temi come l’alchimia e la magia sono molto presenti. Ci sono poi i romanzi dell’astronomo francese Camille Flammarion, fratello del fondatore delle celebri Éditions, e i libri del parapsicologo italiano Ernesto Bozzano, che indagava e scriveva sulle manifestazioni “supernormali”. Ci sono testi che ragionano sulla musica e sulle arti, da un punto di vista più spirituale, evidentemente utili al Rota musicista.

Ci sono ancora testi classici della tradizione filosofica orientale, libri di grandi mistici come Georges Ivanovič Gurdjieff o Jiddu Krishnamurti. La collezione è eclettica e sincretica, aperta alle possibilità, proprio come ci si aspetterebbe da una collezione di volumi esoterici. Sugli stessi scaffali convivono testi di filosofia cristiana ed ebraica, volumi sull’islam, il sufismo, il buddhismo. Ci sono libri sulla cabala, libri sullo spiritismo, manuali di astrologia e sulla pratica yoga, testi di metafisica e di medicina alternativa. Non possono mancare i libri di Astrolabio, casa editrice romana a cui va il merito di aver portato in Italia, già a partire dagli anni ’40 del secolo scorso, testi classici delle religioni e filosofie orientali, o i libri delle Edizioni Mediterranee, dal 1953 prima casa editrice indipendente italiana dedicata all’esoterismo e alle scienze occulte. Ci sono testi stampati dai milanesi Fratelli Bocca, interessati tanto alla teosofia quanto in generale al mondo del mistero e del soprannaturale. Mi ha molto incuriosito poi la presenza di tutta una serie di piccoli editori “di settore”, dai nomi evocativi e molto pertinenti, come le Edizioni Prometeo di Firenze, in omaggio al personaggio simbolo della ricerca della conoscenza o le Edizioni Icaro, dove il volo mitologico diventa qui paradigma del viaggio iniziatico.



E poi, ancora e soprattutto, i miei occhi si perdevano in un tripudio di illustrazioni e dettagli visivi: simboli da interpretare, raggi che si diramano, bocche che invitano al silenzio, occhi, triangoli, cuori alati, serpenti, cerchi magici e geometrie sacre, a simboleggiare, a seconda dei casi, immortalità, sapienza, umiltà, desiderio di conoscenza; e poi ancora calcoli numerici e diagrammi, arditi e complessissimi, come a voler fermare l’inafferrabile, su carta, almeno per un momento.

L’ermetismo, che impregna lo spirito della collezione Verginelli-Rota, è una filosofia che crede in una conoscenza “nascosta” e invita a indagarla per elevarsi in un percorso di crescita spirituale fino a scoprire le sottili corrispondenze che legano fra loro tutte le parti dell’universo, il visibile all’invisibile. Lo studio e la curiositas sono perciò requisiti fondamentali. Improvvisamente mi pareva chiaro come quegli stimoli potessero avere in qualche modo influito sulla personalità e sul pensiero creativo dell’autore di colonne sonore così delicate e ipnotiche. Per tutto il viaggio di ritorno verso casa, ho continuato a pensare a quello che avevo visto e di cui avrei voluto sapere e conoscere di più.



(foto Livia Satriano, Fondo Myriam. Biblioteca “Giorgio Petrocchi”, Università Roma Tre)

L’amico Fellini, con affetto, ricordava Rota sempre mite, gentile e sorridente e come «avvolto da un’atmosfera magica, irreale». Gli pareva di vedere «quell’omino che cercava di uscire da porte che non c’erano, e che poteva realmente uscire anche da una finestra, come una farfalla». Familiare e immediata, ma anche imprevedibile come quell’omino, la musica di Rota procede per moduli sempre diversi come a inseguire qualcosa che è forse sotto gli occhi, ma che può essere colto solo in alcune circostanze. Rota, sempre secondo Fellini, era dotato di «una visione musicale da sfere celesti» e non aveva bisogno di vedere le immagini dei film per comporre. Aveva sempre la soluzione giusta, tenendo le fila di tutto con la grazia e la sapienza del vero mago e con sempre ben chiara in mente la sua missione: donare «un momento di felicità» a chi ascolta. Mi è sembrato che la sua visione “spirituale” della musica dialogasse meravigliosamente con la collezione di libri che ho visitato.

Se mi sono recata a Roma quel venerdì di inizio gennaio forse è anche perché in quel periodo mi stavo chiedendo molte cose, riflettevo su quello che dobbiamo accettare che vada e su quello che invece resta, ciò che in fondo conta davvero. Fra le cose che restano ci sono alcuni oggetti e il significato che a essi attribuiamo, oggetti che amiamo, custodiamo, collezioniamo e che, come scriveva Borges in una poesia breve e suprema, ci sopravviveranno, «dureranno più in là del nostro oblio / Non sapran mai che ce ne siamo andati». È un’immagine che mi ha sempre colpito, questa delle cose che restano e che di noi recano traccia. I libri mi sembrano l’esempio perfetto di questa permanenza e del dialogo che continua a esistere.

Se sono qui che scrivo, nonostante non mi piaccia particolarmente scrivere, è per fare in modo che questo dialogo continui, o per illudermi che possa farlo, e per amore di una storia che ho voglia di condividere con più persone possibili. È anche questa una forma di amore? Credo di sì. Come amore è quello che ha spinto Rota e Verginelli a raccogliere i loro libri, e ancora amore è quello di chi li ha custoditi, li ha studiati, li ha letti, di chi alla collezione ha dedicato una piccola trattazione (e che ringrazio per gli spunti utili e preziosi), di chi mi ha accompagnato aprendomi le porte della biblioteca e disattivando gli allarmi per permettermi di vederli.

Non so molto dell’amore, forse non l’ho mai saputo, ma più i miei anni aumentano più è forte in me la consapevolezza che l’amore si esprima attraverso tante forme, che non sono necessariamente quelle che siamo abituati a riconoscere come tali. Una di queste è sicuramente la curiosità e un’altra è quello che di noi sappiamo donare agli altri, senza chiedere o aspettarci nulla in cambio. In entrambi i casi i libri, i nostri e quelli degli altri, si rivelano una risorsa e un esempio prezioso. E l’amore una forma di riconoscenza che gli tributiamo. Allora forse è vero che tutte le storie (di libri) sono in fondo storie d’amore.


Livia Satriano
Ricercatrice di immagini e divulgatrice di storie rare, curiose, dimenticate. Dal 2017 cura su Instagram il progetto "Libri Belli", dedicato alla riscoperta dell'editoria libraria italiana del Novecento. Ha pubblicato libri, ideato format, condotto talk. Non ama scrivere, ma proverà a contraddirsi in questa sede.





     il professore Vincenzo VerginelliCorato27 maggio 1903-   Roma, 6 dicembre 1987),  insegnante, scrittore ed esoterista italiano.

Biografia

Nato a Corato in provincia di Bari, a sedici anni lasciò il liceo e partì per Trieste dove recò a Gabriele D'Annunzio un assegno dei pugliesi a sostegno dell'impresa di Fiume. D'Annunzio lo chiamò "Vinci" come buon auspicio in seguito alla sua partecipazione alla presa della città. L'incontro con il poeta ebbe un forte influsso sulla sua vita.

Nel 1921 conobbe il pastore valdese Girolamo Moggia grazie al quale aderì all'ermetismo.

Nel 1929 conobbe in Francia Giuliano Kremmerz (al secolo Ciro Formisano), il maggiore pensatore ermetico del tempo, che lo portò a rinforzare la sua fede nell'ermetismo.

Laureatosi nel 1925 in Lettere Classiche a Firenze con una tesi in Storia dell'Arte ottenne grazie al filosofo Giovanni Gentile una collaborazione onorifica con l'Enciclopedia Treccani per il periodo 1926-36 per numerose voci di carattere artistico. Nel 1929 divenne docente di italiano e latino a Napoli, dove ebbe come allieva Elena Croce, figlia di Benedetto Croce. Fu così ammesso a casa Croce divenendo discepolo di Benedetto Croce. 

Nel 1938 iniziò l'insegnamento al liceo Virgilio di Roma dove rimase fino al suo pensionamento nel 1970.

A Roma conobbe Nino Rota, che si era trasferito da Milano in questa città. Tra i due sorse col tempo un'amicizia più che fraterna per la condivisione degli stessi ideali ermetici, per essere entrambi celibi e per la loro eccellente intesa letterario-musicale. Perciò nel 1986, un anno prima di morire, scrivendo di entrambi, dirà: “A Roma […] stavamo sempre insieme. Libri e musica. Musica e libri”. Fu così che nacque la loro perfetta collaborazione artistica, che si interruppe purtroppo prematuramente nel 1979 con la morte del musicista.

Perché si possa inquadrare meglio la figura di Verginelli potrebbe bastare citare lui stesso, che nella parte finale del testamento del 16 novembre 1987, scrive:

«Nella vita conta sempre fare il bene e amare […]. Nella vita conta proporsi di divenire migliori e far divenire migliori possibilmente quelli che ci sono vicini per concorrere al miglioramento dell'intera società umana. Virtute e conoscenza ellenica e dantesca. Questo è stato il mio ideale di vita da ragazzo e a questo fui ispirato da provvidenziali incontri; a questo ideale ho cercato, con umiltà ma con dignità e costanza, di essere fedele.»

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Vinci Verginelli nella sua abitazione a Roma negli anni '80 (immagine tratta da: Enzo Tota e Vito Di Chio, cfr. voce bibliografica)

L'approccio all'ermetismo, inteso come ricerca della Conoscenza del Sé secondo i dettami di Ermete Trismegisto, risale in Vinci all'epoca dell'incontro con il valdese Girolamo Moggia sul treno Barletta-Bari nel 1921 e alla traduzione della Chymica Vannus.

Nel 1924 Verginelli entra a far parte dell'“Accademia Pitagora di Studi Ermetici” a Bari, patrocinata dalla “Schola Philosophica Hermetica Classica Italica” (S.P.H.C.I.) fondata dal Maestro Giuliano M. Kremmerz, al secolo Ciro Formisano. La “Schola” assunse la chiara configurazione di una congregazione finalizzata alla terapeutica, così che, per iniziativa del suo fondatore, si denominò, nell'operatività ermetica, “Fratellanza Terapeutico-Magica di Miriam”. A Roma, Verginelli subentrò nella conduzione del “Circolo Virgiliano”, ispirato alla stessa Fratellanza.

Esperto conoscitore di quegli antichi testi alchemico-ermetici, catalogati nei decenni a lui precedenti da Caillet, Lenglet du Fresnoy, Manget, Ferguson, Duveen, Thorndike e altri, dopo la dipartita di Nino Rota, che aveva massimamente contribuito a collezionarli, Verginelli decise di comporne un catalogo «alquanto ragionato», che fosse cioè una guida descrittiva e critica all'interpretazione dei testi per il «candido lettore» e «curioso ricercatore». Degli oltre 450 volumi in suo possesso, tra cui il Clavis Artis, fece donazione alla Biblioteca dell'Accademia Nazionale dei Lincei a Roma nel 1984, quand'era presidente il professor Giuseppe Montalenti, affinché fossero di facile consultazione; la donazione fu ufficialmente recepita dal presidente dell'Accademia, il professore arabista Francesco Gabrielli.

Le opere[modifica | modifica wikitesto]

  • Traduzione manoscritta dell'antico testo ermetico Chymica Vannus (Il vaglio chimico, Amsterdam, 1666), di autore anonimo (forse Eugenio Filalete ovvero Thomas VaughanGran Maestro della Rosacroce), a cui fa seguito la Commentatio de Pharmaco Catholico di Johannes de Monte-Snyder; la traduzione fu data alle stampe da Carlo Nuti per i tipi di Ibis Libreria Editrice nel 1999; precedentemente Ercole Quadrelli (Abraxa-Quadreracles alias Parafraste Ocella) nel 1982 ne aveva stampato una sua traduzione con Arché; recente è la traduzione autoprodotta della medesima opera (con testo latino a fronte: www.youcanprint.it - Prima Edizione, 2018) da parte di Mario Marta e Giovanni Sergio; la Seconda Edizione 2019, senza testo latino, contiene 398 note a piè di pagina, un indice e sunto dei capitoli e dei paragrafi, un Indice Analitico dei Nomi Propri (318 voci).
  • La poesia di Orazio Caputo, 1934
  • Raccolta di poesie Ceneri di Paradiso, Guanda, 1957
  • Oratorio Mysterium, 1960-61, musicato da Nino Rota, ispirato all'universalità della fede, su commissione della Pro Civitate Christiana di Assisi, con citazioni in latino e traduzione italiana a lato dal Vangelo di Giovanni e dai primi scrittori cristiani, rappresentato ad Assisi il 29 agosto 1962
  • Aladino e la lampada magica Archiviato il 27 aprile 2014 in Internet Archive., 1962-63, libretto ispirato alla nota novella de Le mille e una notte, musicato da Nino Rota, rappresentato al Teatro San Carlo di Napoli nel 1968 e al Teatro dell'Opera di Roma nel 1978
  • La vita di Maria, 1969-70, cantata sacra musicata da Nino Rota, con scelta di testi sacri dal Vecchio Testamento, i Vangeli ortodossi e quelli apocrifi, prima rappresentazione alla Basilica di San Pietro, Perugia in occasione della XXV Sacra Musicale Umbra, 24 settembre 1970
  • Cantata profana Roma capomunni, 1970, musicata da Nino Rota, contenente liriche tratte da Gioachino Belli, Byron, Goethe, Plutarco, Dante, Orazio e Virgilio
  • Bibliotheca Hermetica, Catalogo alquanto ragionato della raccolta Verginelli-Rota di antichi testi ermetici (secoli XV-XVIII), Bruno Nardini editore, Firenze, 1986, catalogo di oltre 450 trattati a stampa e manoscritti (anche miniati) di contenuto ermetico e alchemico, componenti la raccolta Verginelli-Rota, di cui egli stesso era in possesso, acquistati insieme al grande musicista Nino Rota
  • Traduzione italiana del trattatello alchemico di Daniel Stolcius von Stolcenberg intitolato Viridarium Chymicum (Francoforte, 1624), Bruno Nardini editore, Firenze, 1983

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