insegnante al Liceo Virgilio dal 1987 al 2007.
Giuseppe Ghislieri volle fondare a Roma un collegio per permettere a giovani di famiglie nobili decadute di proseguire gli studi e lo dotò di una rendita annua di tremila scudi. Da allora il palazzo accoglie generazioni di studenti, molti dei quali provenivano da famiglie del Regno delle due Grazie al sostegno economico della Confraternita dei napoletani.
Le vicende del Collegio Ghislieri di Roma (illustrato anche in una stampa del Pinelli) seguono quelle dello Stato della Chiesa. Le cose cambiano bruscamente nel 1798, quando le truppe repubblicane romane e l'esercito francese saccheggiano le chiese e gli edifici della zona e sciolgono sia il Collegio Ghislieri sia la Confraternita dei napoletani. Disordini e danni coinvolgono durante le vicende della Repubblica Romana del 1848 anche il Collegio, che poi riprende l'attività istituzionale a fatica .
Iscrizione posta sul portale della scuola
REGIO DECRETO
del 5 luglio 1928, n.2117
Creazione di cinque Regi istituti medi di istruzione.
(Pubblicato in sunto nella Gazzetta Uff. del 4 ottobre 1928, n.231).
VITTORIO EMANUELE III
PER GRAZIA DI DIO E PER VOLONTA’ DELLA NAZIONE RE D’ITALIA
visto l’art. n. 3 della legge 31 gennaio 1926,n.100;
sentito il Consiglio di Stato;
sentito il Consiglio dei Ministri;
su proposta del Nostro Ministro Segretario di Stato per la pubblica
istruzione, di concerto con il Ministro della Finanze;
abbiamo decretato e decretiamo:
A decorrere dal 16 settembre 1928 sono istituiti:
a Roma, un quinto Liceo-ginnasio;
a Brindisi, un Regio Liceo classico
a Enna, un Regio Liceo classico;
a Ragusa un Regio Liceo classico
a Pistoia, un Regio Istituto tecnico.
Ordiniamo che il presente decreto, munito del sigillo dello
Stato sia inserito nella raccolta ufficiale delle leggi e dei
Decreti del Regno d’Italia, mandando a chiunque spetti di
osservarlo e di farlo osservare.
Dato in S. Rossore, addì 4 luglio 1928 – anno VI
Il Guardasigilli: Rocco
Registrato alla Corte dei Conti, addì 26 settembre 1928- anno VI
REGIO DECRETO 27 settembre 1928
Intitolazione del quinto R. Liceo-ginnasio di Roma al nome
di “Virgilio”.
PER GRAZIA DI DIO E PER VOLONTA’ DELLA NAZIONE RE D’ITALIA
Volendo dare una denominazione al quinto R. Liceo ginnasio creato in Roma,
a decorrere dal 16 settembre 1928, su
Nostro decreto 5 luglio 1928, n.2117;
Sulla proposta del Nostro Ministro Segretario di Stato per
la pubblica istruzione;
Abbiamo decretato e decretiamo:
dal 16 settembre 1928, con Nostro decreto 5 luglio 1928 è intitolato al nome “Virgilio”.
Il Ministro proponente è incaricato della esecuzione del
presente decreto, che sarà inviato alla Corte dei conti per la
registrazione.
Dato a S. Rossore, addì 27 settembre 1928 - anno VI
Nato ad Atina, in provincia di Frosinone nel 1880, laureato in lettere e filosofia, professore di filosofia e storia per diversi anni nel Liceo Alfieri di Asti, iscritto dal 1923 al Partito fascista, fu consigliere provinciale di Alessandria (1923-1928) e segretario federale della città (1924-1925), consigliere comunale, assessore e quindi podestà di Asti (1927-1928).
Dal 1932 preside al Liceo Virgilio e vicepresidente dell'Associazione fascista della scuola, dal 1938 ispettore del Ministero e membro del Consiglio nazionale dell'educazione.
All'interno del PNF curava in particolare i rapporti con l'editoria, e specialmente con la Mondadori; Dal 1936 vicepresidente dell'Istituto nazionale di cultura fascista, diresse fra l'altro il Dizionario di politica a cura del PNF.
|
Elsa Morante, l'ex alunna più famosa del Virgilio, scrittrice tra i massimi narratori italiani del XX secolo
Il suo talento narrativo, la sua fervida immaginazione, la sua originale vena poetica la rivelarono come scrittrice dallo stile geniale, collocandola fra i grandi rappresentanti letterari del dopoguerra. La capacità affascinante di trasfigurare luoghi e situazioni attraverso le luci magiche della sua fantasia, e i suoi ritmi narrativi squisitamente musicali, furono le prerogative stilistiche che fecero maggiormente apprezzare e riconoscere questa grande autrice.
Nel 1941 sposò Alberto Moravia, conosciuto qualche anno prima. Lo stesso anno pubblicò il suo primo libro di racconti, "Il gioco segreto", a cui i maggiori critici letterari, fra i quali Giacomo Debenedetti, riservarono lusinghieri apprezzamenti. Nel 1941 pubblicò la raccolta di fiabe "Le bellissime avventure di Caterì dalla trecciolina", da lei stessa illustrate.
|
Nasce a Roma il 18 agosto 1912, figlia di Irma Poggibonsi, maestra elementare ebrea, e di Francesco Lo Monaco, ma cresce con il padre anagrafico Augusto Morante, marito di Irma, istitutore in un riformatorio per minorenni. Visse la primissima infanzia nel quartiere popolare del Testaccio, e forse fu proprio in questo ambiente che imparò ad amare tutto ciò che era popolare, autenticamente genuino e libero dalle maniere artefatte della società borghese. Dai sei ai dieci anni Elsa, per lunghi periodi, fu ospite nell'elegante villa della sua madrina di battesimo, la nobildonna Maria Guerrieri di Gonzaga. Fu un salto di ambiente sociale che le fece conoscere il fascino del mondo aristocratico e del lusso, da cui tuttavia non si lasciò sedurre.
Elsa Morante non frequentò la scuola elementare, ma imparò a leggere ed a scrivere da sola. La sua vocazione di scrittrice si manifestò molto presto con la pubblicazione su giornaletti per bambini di poesie e fiabe corredate da sue illustrazioni. Nel 1922 andò a vivere nel quartiere Monteverde Nuovo, dove nel frattempo la sua famiglia si era trasferita. Frequentò il Liceo Virgilio, conseguendo la maturità nel 1932. Iniziò a frequentare l'Università, ma la mancanza di mezzi economici la costrinse ad abbandonare la Facoltà di Lettere. Fu un periodo difficile per lei, che si era distaccata dalla famiglia per poter affrontare il mondo da sola: per mantenersi iniziò a redigere tesi di laurea, diede lezioni private di italiano e latino, collaborò con riviste e giornali, fra cui "Il Corriere dei Piccoli", il settimanale "Oggi" e "L'Europeo". |
Insieme al marito andò a vivere ad Anacapri, poi si trasferirono in un piccolo appartamento a Roma, in Via Sgambati. Quando Moravia, dopo l'invasione tedesca della capitale, venne accusato di antifascismo, furono costretti a rifugiarsi sulle montagne di Fondi, nella zona di Cassino, in Ciociaria. Ritornarono a Roma nell'estate del 1944, dopo la Liberazione.
Nel 1948, dopo avervi lavoro a lungo dal 1945, pubblicò il romanzo "Menzogna e sortilegio", con cui vinse il Premio Viareggio. L'opera, che ebbe notevole successo, narra la decadenza di una famiglia gentilizia del Sud, attraverso lo scorrere della vita di tre generazioni. E' una storia complessa, ricca di intrecci e di episodi laterali, nella quale l'autrice, nelle vesti di Elisa, racconta in prima persona la storia della propria famiglia.
Con il migliorare della situazione economica famigliare, Alberto Moravia e Elsa Morante si trasferirono in un confortevole attico in Via dell'Oca, che ben presto divenne uno fra i ritrovi più frequentati dal mondo artistico romano.
Nel 1957 pubblicò il suo secondo romanzo, "L'Isola di Arturo", con cui vinse il Premio Strega. E' la storia della difficoltosa maturazione di un ragazzo che vive, all'ombra del grande penitenziario dell'Isola di Procida, insieme al padre, un uomo cinico e duro che, con i suoi misteriosi comportamenti, appesantisce ancora di più le condizioni di solitudine e segregazione del giovane.
In quegli anni Elsa Morante fece la conoscenza di Umberto Saba, Sandro Penna e Pier Paolo Pasolini, con i quali strinse una solida amicizia.
Nel 1958 raccolse in un libro, dal titolo "Alibi", la produzione di sedici liriche.
In quel periodo subentrarono le prime difficoltà nel rapporto con Moravia. Elsa, dal temperamento intransigente e vulnerabile, alternava momenti di vivace entusiasmo ad altri di insofferente malessere. Il suo fondamentale bisogno di affetto e protezione si scontrava spesso con la sua forte esigenza di autonomia.
Dopo aver visitato la Francia e l'Inghilterra, compì una serie di lunghi viaggi, visitando, con una delegazione culturale, l'Unione Sovietica e la Cina. Nel 1959 pubblicò "Le straordinarie avventure di Caterina" e si recò negli Stati Uniti, dove conobbe il giovane pittore newyorkese Bill Morrow, con cui ebbe un affettuoso rapporto di amicizia.
Al suo ritorno a Roma, pur non lasciando definitivamente la residenza coniugale, né il proprio studio ai Pairoli, si trasferì in un nuovo appartamento in Via del Babuino: un luogo tutto suo nel quale amava rifugiarsi, sottraendosi alla vita mondana e a tutto ciò che era obbligato e formale.
Nel 1959 scrisse il saggio "Nove risposte sul romanzo" a cui, l'anno dopo, fece seguito un altro saggio intitolato "Otto risposte sull'erotismo in letteratura"; furono entrambi pubblicati sulla rivista "Nuovi Argomenti".
Nel 1961 con Moravia visitò il Brasile; in seguito, si recò con il marito e P.P. Pasolini in India. Nel 1962 avvenne la separazione da Moravia, a cui tuttavia restò sempre legata da grande affetto. Nello stesso anno visse con profondissimo dolore il suicidio dell'amico Bill Morrow.
Nel 1963 pubblicò la raccolta di racconti "Lo scialle Andaluso". Gli anni successivi furono molto difficili per Elsa Morante: alternò alla produzione letteraria, altri viaggi all'estero, recandosi in Andalusia, in Messico, nel Galles. Il suo stato d'animo era pervaso da una costante malinconia, aggravata dal tormento per la prematura morte dell'amico statunitense.
Nel 1965 scrisse "Pro e contro la bomba atomica" un saggio carico di preoccupate inquietudini politico-sociali, poi pubblicato in "Europa letteraria". Nel 1968 pubblicò un'altra raccolta di poesie, col titolo "Il mondo salvato dai ragazzini". Negli occhi dei ragazzini la Morante vedeva il mare, lo spazio libero, la terra incontaminata, la speranza e la medicina per i mali dell'umanità.
Fra il 1971 e il 1973 lavorò al suo terzo romanzo, "La Storia", che verrà pubblicato l'anno successivo. Fu un'opera che suscitò diverse polemiche, ma che ottenne anche un grandissimo successo di pubblico. In questo romanzo l'autrice racconta l'odissea bellica dell'Italia e del mondo nel periodo 1941-1947, attraverso le vicissitudini di una famiglia romana, dapprima impegnata a sopravvivere in una città devastata dalla guerra, poi, fra infinite difficoltà, impegnata in una faticosa ricostruzione.
Nel 1976 inizia la stesura del suo ultimo romanzo, "Aracoeli", pubblicato solamente nel 1982, un lavoro protrattosi per alcuni anni e interrotto nel 1980 quando la Morante, per una banale caduta si ruppe il femore e fu costretta a subire un intervento chirurgico. In quest'ultimo intenso romanzo l'autrice tratteggia, con tratti di grande sensibilità, la vita di un personaggio che con angoscia cerca di ricomporre la figura materna, perduta e irraggiungibile, attraverso un complesso percorso psicologico.
Elsa Morante, non più in grado di camminare, visse gli ultimi anni della sua vita a letto, in un quasi totale isolamento. Solo gli amici più affezionati continuarono a farle visita. Nell'aprile del 1983, stanca e depressa, tentò il suicidio, aprendo i rubinetti del gas, ma l'arrivo della fedele governante la salvò. Nel 1984 fu sottoposta ad un ulteriore intervento chirurgico per un'ulcera perforante, a seguito del quale non lasciò più la clinica romana in cui era stata ricoverata.
Morì a Roma, colpita da infarto, il 25 novembre 1985, all'età di settantatre anni.
Le sue ceneri furono disperse nelle acque dell'Isola di Procida, un luogo incantato che aveva scoperto con Moravia durante gli ultimi mesi della seconda guerra mondiale, quando erano costretti a scappare e anascondersi: su quell'isola aveva trascorso alcuni dei momenti più belli della sua vita.
Un giudizio positivo sulla Morante ci viene dal critico e filosofo ungherese Lukacs, che la riteneva sicuramente "più brava" del suo celebre marito Alberto Moravia.
L'elettrone grasso che cambiò il mondo, di Pietro Greco
Un esperimento cruciale aprì la strada alla fisica del XX secolo, quella delle particelle.
.
|
(Siena, 1915- Usa, 2002).
Dopo la guerra continuò la sua attività in varie istituzioni di ricerca negli Stati Uniti, divenne professore di Fisica nell'University of California, San Diego (USA) e diede significativi contributi nella ricerca sulle anti-particelle.
Era stato, nel 1912, il fisico austriaco Victor Hess a scoprire che dal cosmo giunge sulla Terra una radiazione, ricca di energia e di natura ignota. Per molto tempi i fisici pensarono che quei raggi cosmici fossero costituiti da "raggi ultragamma", vale a dire da radiazione elettromagnetica ad altissima frequenza. Ma fu l'italiano Bruno Rossi, a cavallo tra il 1929 e il 1930, a dimostrare che i "raggi cosmici" non erano costituiti da particelle. Per la sua dimostrazione Bruno Rossi si era avvalso di un avveniristico rivelatore elettronico.
Intorno a Bruno Rossi, alla sua scoperta e alla sua tecnica, nacque tra Firenze e Padova un'autentica scuola di "fisica dei raggi cosmici". Una scuola di assoluta eccellenza, di cui i giovani Marcello Conversi, Ettore Pancini e Oreste Piccioni entreranno a far parte.
Il prof. Carlo Dionisotti famoso filologo
ha insegnato al Virgilio negli anni '40
Carlo Dionisotti nato a Torino nel 1908, si è laureò in lettere a Torino nel 1929 col professore nazionalista e fascista Vittorio Cian, direttore del "Giornale storico"; per portare avanti le sue ricerche nella Biblioteca vaticana si trasferì a Roma dove insegnò negli anni '40 per alcuni anni italiano e latino al Liceo Virgilio. A Roma lavorava anche nella redazione del Dizionario Biografico degli Italiani, diretto da Giovanni Gentile, dove era stato introdotto da Fortunato Pintor. Al liceo strinse amicizia soprattutto con il coetaneo
Dionisotti divenne abbastanza noto come antifascista nel 1944 per il suo saggio sulla morte di Giovanni Gentile, ucciso dai partigiani fiorentini il 25 aprile 1944.
Dionisotti scrisse allora che accettava "risolutamente" il gesto dei gappisti fiorentini.
Al Virgilio ebbe tra i suoi allievi del corso I Alberto Ronchey, giornalista del Corriere della Sera ed ex ministro, che in un editoriale del Corriere della Sera ne ricorda “la personalità di forte autorevolezza”.
Dionisotti conseguì la libera docenza in letteratura italiana nel 1937 e, oltre ad insegnare al Virgilio, fino al 1946 fu assistente di Natalino Sapegno all'Università di Roma.
Si trasferì poi in Inghilterra per le difficoltà ad essere accolto nel mondo accademico italiano; divenne lettore di italiano a Oxford nel 1947 e professore al Bedford College di Londra nel 1949.
La sua collaborazione a riviste letterarie è stata intensa: alla fine degli anni trenta ha lavorato come segretario di redazione del «Giornale storico della letteratura italiana». Ha scritto su «Italia medioevale e umanistica», divenendone condirettore nel 1958, su «Italian Studies», «Lettere italiane», «Studi di filologia italiana» e altre riviste.
La sua attività filologica si è rivolta, in particolare, alle opere di Pietro Bembo. Ha inoltre approfondito lo studio della letteratura italiana del Quattrocento e del Cinquecento, negli aspetti filologici e linguistici e nelle implicazioni storico-politiche. Soprattutto notevoli, in questo senso, gli studi su Geografia e storia della letteratura italiana, uscito dapprima nel 1967, che lo hanno fatto emergere tra i maestri della letteratura.
Dionisotti stesso ha definito questa raccolta «un'inchiesta condotta con scrupolo di verità, ma con passione politica, sulla storia tutta della letteratura italiana nel quadro della storia d'Italia». Vanno poi almeno citati saggi su Machiavelli oltre agli studi sull'Ottocento.
Ciò che colpisce negli studi e nei libri di Carlo Dionisotti, oltre all'ampiezza e all'esattezza delle prospettive storiche, è il respiro di un metodo in cui si fondono il rigore filologico, una vasta e solida cultura, una forte sensibilità civile e il gusto per la poesia e per l'arte, come testimoniano i saggi raccolti nel 1995 in Appunti su arti e lettere.
Si è spento a Londra nel 1998, salutato dall'intera cultura del Paese come il maggiore storico della letteratura italiana del secondo Novecento. E’ sepolto a Romagnano Sesia, in provincia di Novara.
"Pare a me che il compito degli intellettuali sia di fare, come tutti gli altri, il loro mestiere nel modo migliore. Il loro mestiere può comprendere anche la politica attuale, ma non necessariamente. Se la comprende, il loro compito precipuo - secondo me - è di ricordare e spiegare i precedenti di questa politica che sfuggono alle nuove generazioni e a quelli che intellettuali non sono. Più che un compito direzionale, dovrebbe essere - secondo me - un compito commemorativo e monitorio.
***********
Candeloro, Giorgio (Bologna 1909 - Roma 1988), storico italiano.
Studioso dapprima di storia delle dottrine politiche, sotto l'influenza di Giovanni Gentile dopo la seconda guerra mondiale fu uno dei primi a occuparsi del Movimento cattolico in Italia, al quale dedicò un libro pionieristico (1953). Docente di Storia del Risorgimento all'Università di Pisa, visse a Roma dove si dedicò alla stesura di una vasta ricostruzione della vicenda complessiva dell'Italia dal Risorgimento alla Resistenza in undici volumi (Storia dell'Italia moderna), pubblicati tra il 1956 e il 1985, in cui si avverte l'insegnamento di Gramsci.
MANLIO CANCOGNI,
supplente di filosofia, licenziato dal Virgilio per antifascismo nel 1940
Come un romanzo autobiografico diventa un libro di storia. Manlio Cancogni, «Gli scervellati. La seconda guerra mondiale nei ricordi di uno di loro», Diabasis, pp. 263, euro 13,80 Siamo agli inizi di giugno del 1940. Dopo mesi di calma sul fronte occidentale, l’esercito tedesco passa improvvisamente all’attacco e occupa il Belgio neutrale, aggira la linea Maginot e rompe le difese francesi. Mussolini teme di perdere il «treno della storia» e si prepara a entrare in guerra. Cominciano così le manifestazioni «popolari» per la guerra, sollecitate e orchestrate dal regime, soprattutto negli ambienti scolastici e universitari. Manlio Cancogni ha ventiquattro anni e insegna storia e filosofia, con un incarico annuale, al Liceo Virgilio di Roma. Il fascismo, la sua retorica, le liturgie del regime e il concetto stesso di patria lo infastidiscono. Nella partita mondiale che si è aperta il 1 settembre 1939, tiene per la Francia e soprattutto per la Gran Bretagna. Quando scopre che i suoi studenti si apprestano a manifestare, li ferma sulla porta della scuola e li dissuade: «Vi rendete conto di ciò che state facendo? Per un’ora di vacanza voi andate a dar mano a chi vuole trascinarci in guerra». Gli studenti tornano in classe, ma il preside, qualche giorno dopo, lo convoca nel suo studio e gli rimprovera l’imprudenza; non lo denuncia, ma non lo riassumerà alla ripresa degli studi, in settembre. Qualche settimana dopo Cancogni sostiene le prove orali di un concorso per l’assegnazione di alcune cattedre di storia e filosofia nei licei. Il professor Chabod, famoso storico, ha letto con piacere il suo tema e lo ascolta con interesse. L’esaminatore di filosofia lo fa parlare del suo filosofo favorito, Bergson. Una tesi controcorrente sulle matrici storiche e culturali del Risorgimento crea fra gli esaminatori e l’esaminato un clima di complicità. E Manlio Cancogni, cacciato per antifascismo dal Liceo Virgilio di Roma, entra trionfalmente, poche ore dopo, negli organici del ministero dell’Educazione nazionale. All’inizio del 1942, dopo un mese di guerra sul fronte albanese e una lunga licenza per malattia, torna all’insegnamento in un Liceo di Sarzana. Nel 43 lascia l’insegnamento e diventa redattore della Nazione di Firenze intraprende una doppia carriera, letteraria e giornalistica, che ha fatto di Cancogni uno dei più interessanti scrittori della sua generazione. Manlio Cancogni (1916- 2015), giornalista, collaboratore dell’Espresso, scrittore, vincitore del Premio Strega nel 1973 con Allegri, gioventù e di un Premio Viareggio, è uno scrittore curioso e vario. Esordisce come narratore nel 1943 con Delitto sullo scoglio. Seguono numerosi romanzi e racconti, tra i quali La linea del Tomori (Mondadori, 1965), Azorin e Mirò (Rizzoli, 1968 e poi Fazi 1996), La vita nuova (1986) e Lettere a Manhattan (Fazi, 1997). Nel 1987 pubblica presso Longanesi Il genio e il niente con il quale vince il Premio Grinzane Cavour, biografia romanzata del pittore Guido Reni. Nel 1998 presso Fazi esce Matelda, "racconto di un amore", dove l’amore è quello per la poesia. Nel 2000 sempre presso Fazi, Manlio Cancogni pubblica Il Mister, delizioso romanzo-apologo sul calcio ambientato nella Roma fascista degli anni Trenta. |
Attilio Bertolucci con il figlio Bernardo
Nel '51 Bertolucci si trasferì a Roma e riprese a insegnare storia dell’arte, dopo avere ottenuto un incarico al Liceo Virgilio. La moglie Ninetta in ottobre lo raggiunse nella capitale e in dicembre i due coniugi presero casa a Monteverde, in viale di Villa Pamphili, 15, dove per qualche anno abitò anche Pasolini.
Il '51 fu un anno felicissimo per Bertolucci: collaborò con la Rai come critico cinematografico (alla radio) e come autore di una trasmissione culturale (alla TV), pubblicò “La capanna indiana” da Sansoni e vinse il Premio Viareggio. Diventato consulente dell’editore Garzanti, conobbe Pasolini e Gadda.
Benchè molto amico di Elsa Morante (che frequentò insieme a Moravia, Penna e Pasolini), tardò a leggerne L’isola di Arturo; la scrittrice gli inviò allora una copia del suo libro con una dedica in forma d’arietta mozartiana (Aria di Arturo: «Ah barbaro esilio! | Ah vano desio! | Dal cuore d’Attilio | bandito son io...»). Nell’aprile 1953 ottiene, grazie a Ungaretti, il premio Villa d’Este-Montparnasse, consistente in un soggiorno in Francia. «Il mio preside, che aveva anche una cattedra di filosofia a Bari, (si tratta di Giuseppe Dell'Olio,ndr) mi ha permesso di stare via un mese, oltretutto dandomi lo stipendio (oggi si potrebbe essere indagati per questo).
A Parigi, in realtà, avrei potuto stare dei mesi, ma la “nostàlghia”... La Ninetta non è potuta venire, per via dei bambini. Stavo nel famoso Hôtel Lutètia, con dei meravigliosi inviti...» (All’improvviso ricordando, cit.). Nel 1954 abbandonò l’insegnamento al Liceo Virgilio perché ormai incompatibile con i troppi impegni: «Il bello è che [...] i miei allievi, non avendomi visto riconfermato [...], volevano fare una dimostrazione perchè pensavano che il Ministero non fosse stato contento del mio modo di fare lezione...» (All’improvviso ricordando, cit.).
Nel '71 pubblicò “ Viaggio d'inverno” probabilmente la sua opera più signficativa. Nel '75, dopo la morte di Pasolini, Bertolucci fu chiamato a dirigere - con Siciliano e Moravia - la rivista Nuovi Argomenti.
Per molti anni il poeta fu impegnato nella scrittura del romanzo “la Camera da letto”, che uscì in due libri, nell' 84 e nell'88, e vinse il Viareggio.
Il grande poeta si è spento il 14 giugno 2000.
grande regista del '900
Nato a Parma nel 1941, figlio del poeta Attilio, da ragazzo si trasferisce con i genitori a Roma, abita a Monteverde e frequenta il Liceo Virgilio. Come il padre, anche lui è attratto dalla poesia. Dopo la maturità si iscrive alla facoltà di lettere, vince nel 1962 il Premio Viareggio con la composizione "In cerca del mistero", ma comincia a lavorare in Accattone come assistente alla regia di Pier Paolo Pasolini. L'anno seguente, debutta egli stesso con il lungometraggio "La comare secca", su soggetto e sceneggiatura del suo maestro. Nel 1964 firma "Prima della rivoluzione", e nel '67 collabora alla sceneggiatura di "C'era una volta il West" di Sergio Leone; l'anno dopo dirige Partner, ispirato a "Il sosia" di Dostoevskij nel quale convergono le nuove esperienze culturali della contestazione.
Nel '70 è la volta di "Strategia del ragno" ispirato da Borges e "Il conformista", tratto da Moravia: due titoli fondamentali che preludono al celeberrimo "Ultimo tango a Parigi" (1972), film di grande successo, segnato in patria dalla censura.
È del 1976 la sterminata saga di "Novecento", epopea delle lotte contadine in Emilia e soprattutto nella sua Parma.
"La tragedia di un uomo ridicolo" (1981), con Ugo Tognazzi, è invece un ritratto penetrante dell'Italia contemporanea.
Con L'ultimo imperatore (1989), vincitore di ben nove premi Oscar tra cui quello per la miglior regia, di nove David di Donatello e quattro Nastri d'Argento in Italia, in Francia del Cèsar per il miglior film straniero, inizia una trilogia di superproduzioni d'autore, proseguita con "Il tè nel deserto" (1990) e con "Il piccolo Buddha" (1993). Nel 1996, invece, gira "Io ballo da sola", ambientato in una villa del Chiantishire, nel 1999 il film tv L'assedio.
i.
|
insegnante di storia e filosofia al Virgilio dal 1953 al 1973.
Donne partigiane il 25 aprile 1945
Nata vicino Brescia nel 1903, docente di storia e filosofia al Liceo Arnaldo di Brescia, cattolica antifascista, è attiva nella Resistenza bresciana e milanese: redattrice del giornale clandestino “Il Ribelle” - sul quale si firma con gli pseudonimi di Penelope, Don Chisciotte, Battista -, membro del comando delle Fiamme verdi e dell’esecutivo del “Comitato di liberazione nazionale alta Italia”.
Il Ribelle di Brescia e Milano (1944-1946)
Il 5 marzo del 1944 il primo numero del "Ribelle" fu diffuso con una tiratura di 15 mila copie riscuotendo un successo enorme e la pubblicazione si protrasse per tutti i mesi della lotta di liberazione. Espressione dei cattolici delle “Fiamme Verdi”, il giornale pubblicò 25 numeri e una serie di 11"Quaderni", nei quali, oltre a svolgere un’analisi del fascismo, furono stilati i princìpi che avrebbero dovuto regolare la nuova società e ipotizzate alcune soluzioni ai problemi, quali ad esempio il rapporto fra Stato e Chiesa, che sarebbero sorti all’indomani della liberazione.
"Il Ribelle", contando su squadre di distributori e sul sostegno dei cattolici, raggiunse i maggiori centri del nord Italia arrivando a Roma e anche in Svizzera. I collaboratori furono all’incirca una ventina e fra i più noti vi era Laura Bianchini.
- Dottoressa, che ricordi ha degli anni di guerra al Virgilio ?
Abitavo a Monteverde, in via Poerio, e venivo a scuola al Virgilio in tram. Mi ricordo ancora del ’38, quando schierarono in cortile tutti noi studenti in divisa di balilla - i ragazzi- o di giovane italiane – le ragazze-, e Mussolini venne ad inaugurare l’edificio appena restaurato. Io ero molto giovane e vivevamo in un regime in cui non c’era informazione, ma solo propaganda. Grazie ad un mio zio antifascista, che per questo suo atteggiamento era stato cacciato dal posto, avevo sviluppato qualche opinione sulla situazione politica e sulla guerra. E poi mio zio aveva molti libri, e a casa mia leggevamo i suoi libri.
Mussolini inaugura il Virgilio nel 1938 dopo la ricostruzione
Nella scuola la situazione era tranquilla, i professori non facevano propaganda fascista, anzi erano bravi e cercavano di farci intendere i valori dell’umanesimo attraverso lo studio dei classici. In classe mia c’erano due ragazzi, Trezzini e Miranda, che partecipavano ad attività antifasciste clandestine. Solo dopo la guerra ho saputo che a scuola c’era un insegnante di matematica e fisica del gruppo dei fisici di via Panisperna, il professor Luigi Fagiolo, che faceva delle riunioni politiche nell’aula di fisica.
Alla fine del ’42 si capì che la guerra andava male, c’erano le sconfitte in Africa, nei Balcani, in Russia. In città la situazione cominciò a cambiare: ricordo che un giorno, mentre tornavo a casa in tram, un ragazzo, un giovane operaio che stava sul tram, fischiò, in segno di scherno, due poliziotti che perciò lo volevano arrestare, ma gli altri passeggeri, soprattutto donne, li costrinsero a lasciarlo andare.
Per tanti ci fu una presa di coscienza e passarono all’opposizione come era possibile, esprimendo comunque posizioni antigovernative. La gente cominciava a rendersi conto della situazione e quando i tedeschi fecero la retata nel ghetto molti si adoperarono per salvarli; così il giorno dopo il massacro delle fosse ardeatine molte persone, soprattutto donne, si radunarono davanti alle cave. Certamente una gran parte della popolazione romana ha vissuto l’antifascismo, a diverso livello. Non tutti erano disposti ad essere eroi, ma la gente imparava a dire no, dopo aver detto sempre sì per tanti anni.
Una classe di scuola media durante il ventennio fascista
- Ricorda cosa successe dopo l’8 settembre ?
Dopo l’8 settembre ci fu l’occupazione tedesca della città e c’era molta incertezza sul futuro; ricordo però la sorpresa la mattina del 7 novembre del ’43, quando, arrivando a scuola, trovammo dei disegni con falce e martello e le scritte “viva la rivoluzione d’ottobre” “viva il socialismo” sui muri della scuola sul lungotevere. Le scritte erano molte, fatte con uno stampino, e poco dopo furono cancellate, ma colpirono molto noi studenti. Qualcuno aveva rischiato la vita per fare quelle scritte; poi ho saputo che era stato un ragazzo che abitava in via Giulia, Marcello Moretti.
Nel 1943-44 io facevo il secondo liceo: andavo bene a scuola, avevo la media dell’otto. Non mi andava di stare a scuola un altro anno, ero brava in latino e greco, e così potei saltare il terzo liceo, come prevedeva allora la legge. Diedi perciò la maturità direttamente alla fine del secondo anno, in classe mia andammo in quattro cinque direttamente agli esami di terza. Mi ricordo che il quattro giugno, il giorno dell’arrivo degli americani a Roma, diedi l’orale. Non ero molto preparata nei programmi del terzo, ma c’era una grande confusione.
Poi mi sono iscritta alla facoltà di giurisprudenza e mi sono laureata in legge. In quegli anni ho acquisito una passione politica che mi ha accompagnata per tutta la vita, mi sono iscritta al partito comunista, ho lavorato cinque anni all’ufficio stampa della Cgil, dal ’49 al ’54, ed ho visto nascere tante leggi, quella sulla scala mobile, la maternità. Poi ho fatto l’avvocato del lavoro.
Alberto Ronchey, ex allievo
Alberto Ronchey, nasce a Roma nel 1926, ha frequentato il Liceo Virgilio negli anni '40 dove ha frequentato il Corso I ed è stato allievo del professor Carlo Dionisotti, di cui ricorda “la personalità di forte autorevolezza” in un editoriale del Corriere della Sera.
E' stato direttore della "Voce repubblicana", inviato speciale e poi direttore della "Stampa", dal 1968 al 1973 editorialista del "Corriere della Sera" e in seguito di "Repubblica", ha scritto anche per diversi settimanali ("Il Mondo", "L'Espresso", "Panorama").
È stato ministro per i Beni Culturali e Ambientali dal giugno 1992 al maggio 1994 e in seguito presidente del Gruppo editoriale Rizzoli-Corriere della Sera.
Tra le sue numerose opere di attualità e politica ricordiamo: La Russia del disgelo (1963) ; Atlante ideologico(1973); La crisi americana (1975), Accadde in Italia. 1968-1977 (1977); Libro bianco sull'ultima generazione (1978); Diverso parere (1983); Giornale contro (1985); I limiti del capitalismo (1991); Fin di secolo in fax minore (1995),Atlante italiano (1997) e Accadde a Roma nell'anno 2000 (1998).
Giornalista conservatore, inventore del fattore K per Komunismo, utilizzato in un editoriale sul Corriere della Sera del 30 marzo '79 per giustificare il mancato ricambio delle forze politiche governative nei primi cinquant'anni della repubblica italiana. L'alternanza era impedita dalla presenza di un grande partito comunista, principale forza di opposizione, che, per ragioni di alleanze ed equilibri internazionali, non poteva giungere al potere.
Il Fattore R
"Noi dobbiamo a Ronchey" ha scritto Indro Montanelli "alcuni dei migliori saggi apparsi negli ultimi trenta o quarant'anni nella carta stampata, non soltanto italiana, di politica, economia, sociologia (quella vera): frutto di lunghi soggiorni in tutti i paesi d'Europa, in America, in Cina, in Giappone, d'indagini da 007 nelle loro viscere, di attente e vaste letture."
Alberto Ronchey è la compiuta incarnazione di un giornalismo tutto fatti, non ideologico, empirico e molto anglosassone (nelle sue vene, del resto, scorre anche sangue scozzese). È un italiano anomalo, ma orgoglioso di essere figlio di una città amata e odiata come Roma.
A sedici anni, prima del 25 luglio 1943, correggeva le bozze e scriveva articoli per fogli clandestini. Da allora ha scritto per i maggiori quotidiani nazionali, ha raccontato l'Unione Sovietica di Chruscev "superpotenza sottosviluppata", Berlino appena divisa dal muro, Cipro sconvolta dalla guerra fra greci e turchi, l'America di Kennedy, l'India, il Giappone, il Sud dell'Italia e la questione meridionale.
È stato l'unico giornalista a raggiungere Kindu dopo il massacro dei tredici caschi blu italiani. Ha scritto numerosi libri, ha inventato formule politiche come la "lottizzazione" per la Rai e il "fattore K" per il partito comunista; è stato docente di sociologia a Cà Foscari, ministro dei Beni Culturali con i governi Amato e Ciampi, presidente della Rcs.
È probabilmente il maggior esponente di un giornalismo capace di raccontare il mondo grazie all'osservazione diretta e a un bagaglio continuamente rinnovato di letture, riflessioni, approfondimenti. In questa conversazione, brillantemente condotta da un'altra grande firma del giornalismo italiano come Pierluigi Battista, Ronchey ci guida attraverso le svolte e le crisi che hanno segnato gli ultimi sessant'anni della storia italiana e mondiale.
E il pessimismo, il disincanto, il rifiuto delle mode che, insieme al leggendario perfezionismo, costituiscono i tratti caratteristici di uno stile di vita e di pensiero, vanno di pari passo con la curiosità e il bisogno sempre vivo di conoscere e capire il nostro mondo.
Dal liceo Virgilio alla diplomazia "segreta" vaticana
a cura di Sandro, Adriano e Luca
Andrea Riccardi fondatore di Sant'Egidio, comunità sessantottina
Nato a Roma il 16 gennaio 1950
Una storia che inizia nel '68 e questo potrebbe già spiegare molte cose. Per esempio il fatto che al liceo "Virgilio" ci fossero dei borghesissimi studenti che volevano cambiare il mondo. Tra questi c'era Andrea Riccardi che aveva divorato il Vangelo e che ai classici marxisti preferiva i teologi cattolici del Concilio Vaticano II. Per farla breve il 7 febbraio del 1968, il giovane Riccardi studente dell’ultimo anno di Liceo, mentre la stragrande maggioranza degli studenti della scuola è di sinistra, fonda un suo gruppo cattolico.
Da Gioventù Studentesca alla Comunità
I futuri membri di Sant'Egidio fanno parte di una cellula di Gs nel liceo Virgilio di Roma. Gs è la sigla di Gioventù studentesca, l'organizzazione fondata da don Luigi Giussani che più tardi, passata il sessantotto, prenderà il nome di Comunione e liberazione. Riccardi vi si era avvicinato negli anni di ginnasio. Dopo di che aveva collegato i giessini del Virgilio, del Dante, del Mamiani. Ma con loro ci sono anche Rocco Buttiglione e la sua futura moglie Maria Pia Corbò, che tireranno poi dritto con don Giussani. Se il gruppone si disfà, tre, quattro anni dopo, è perché se ne va via il prete che l'aveva tenuto assieme, Luigi Iannaccone.
È solo a quel punto, inizio 1972, che Riccardi e i suoi si mettono in proprio, con astio nei confronti dei fratelli separati di Cl.
Chi erano e dove andavano questi cattolici non era facile capirlo. Uno dei loro slogan era "dalla parte dei figli delle donne di servizio", un motto che metteva in evidenza sia le origini borghesi sia le aspirazioni rivoluzionarie dei primi militanti.
Nel settembre del 1973 fissano finalmente il loro quartier generale a Sant'Egidio. Sparite le ultime monache, l'edificio era rimasto vuoto, malandato. È di proprietà del ministero degli Interni, che glielo cede in cambio d'un affitto di poche lire. Chiavi in mano compreso il restauro, eseguito prontamente a spese del ministero.
Riccardi, un leader carismatico
Oggi il professor Andrea Riccardi ha 51 anni, è sempre presidente della comunità di Sant'Egidio ed è docente universitario di Storia del cristianesimo.
La sua comunità è acclamata anche all'estero, dove ha dato molte prove della sua arte diplomatica contribuendo alla soluzione di molte crisi internazionali. Il vero miracolo della Comunità è stata la pace in Mozambico, firmata nell’ex monastero di Trastevere dopo un negoziato che aveva visto la Comunità riuscire dove aveva fallito la diplomazia internazionale.
Tanti militanti ?
Ma chi sono gli 8 mila romani che – dicono- fanno capo al centro trasteverino? Risposta difficile. Perché non sono insediati nei posti chiave del potere politico ed economico No, quella della Comunità di Sant'Egidio è tutta un'altra storia. Una storia di poveri e nomadi, di barboni ed extracomunitari.
"Cominciammo dalle baracche, il Terzo mondo sotto casa", ricorda oggi il giornalista Mario Marazziti, 51 anni (ma sembrano molti dimeno da quando si è tagliato la barba).
La prima missione fu a ponte Marconi, alla baraccopoli che era sorta sotto il Cinodromo. "Facevamo la cosiddetta scuola popolare", spiega Marazziti "andavamo lì il pomeriggio, appena usciti da scuola in via Giulia, riunivamo i bambini delle baracche e gli insegnavamo a scrivere e leggere". L'esperimento funzionò e da ponte Marconi le scuole popolari vennero estese alla Garbatella, a Primavalle e in breve in tutte le zone calde della periferia romana.
Nel frattempo la Comunità è cresciuta Comunità cambia rotta sui nuovi poveri: i barboni, per i quali faranno anche una specie di guida Michelin su come sopravvivere; e poi gli zingari.
I GIOVANI RIVALUTANO GLI STUDI CLASSICI
Il liceo alla riscossa: torna di moda il classico culturale. Il liceo è formativo e fornisce gli strumenti mentali per interpretare la realtà"
del Liceo Virgilio
"Le sperimentazioni hanno introdotto molti cambiamenti. Soprattutto le lingue straniere. Qui, ad esempio, abbiamo corsi a numero chiuso. Siamo costretti a respingere gli alunni perché non siamo in grado di crescere di più. Abbiamo 920 iscritti e durante le prescrizioni abbiamo dovuto dire molti no".
Intervista di Manuela Caramini a Settimia Spizzichino
Sopravvissuta ad Auschwitz
Roma, 15 aprile 1921 – Roma, 3 luglio 2000
All'inizio dell'anno scolastico abbiamo trattato a scuola il tema della persecuzione degli ebrei e dei campi di sterminio. Così, quando una mia amica mi ha proposto di incontrare una sopravvissuta di Auschwitz, ho subito accettato di andare a trovare la signora Spizzichino per una conversazione di un'ora circa che io ho trascritto.
PS: Qualche settimana dopo la mia intervista la signora Spizzichino è morta. Le sono grata di avermi fatto conoscere un lato della storia che ha cambiato il mondo.
Sono nata a Roma e da una modesta famiglia del Portico D'Ottavia. Mio padre era commerciante di libri e mia madre maestra alla scuola ebraica. Quando i tedeschi occuparono Roma pensavamo che fosse una mossa di Hitler per cambiare le sorti della guerra; inoltre i nazisti ci facevano credere che le misure che prendevano (il ghetto, la raccolta del nostro oro) servisse per proteggerci, per metterci in salvo.
Può raccontarmi del giorno in cui fu catturata?
- E' stato un giorno che mi è rimasto impresso, non solo nel cuore ma anche negli occhi: la mattina del 16 ottobre 1941 verso le sei cominciammo a sentire rumori pesanti e voci che gridavano in tedesco di uscire dalle case. Quando portarono via me e la mia famiglia i tre quarti delle persone del ghetto erano già state portate via. Un'immagine che non riesco a scordare è la casa della mia amica Anna vuota, con sopra il letto tutte le sue bambole. Scesi da casa, con i fucili puntati ci misero in fila dicendoci sempre che era per il nostro bene. La mia sorellina di cinque anni si stringeva con gli occhi impauriti al collo di mia madre. Usciti dal ghetto ci fecero salire su dei camion e ci portarono alla stazione dove ci caricarono su dei treni con la scritta "Juden" e la stella di David. Io a quel tempo avevo diciotto anni e non avevo idea che gli ebrei fossero considerati una razza inferiore, o , come diceva qualcuno, "i demoni della rovina della Germania".
Come avvenne la deportazione in Germania?
- Quando ci fecero salire su quei grandi treni; solo allora capii che molti di noi non sarebbero tornati. Viaggiammo ammassati per circa tre giorni in un vagone senza sapere neanche l'ora, perché prima di salire ci avevano preso tutte le cose di valore. Dentro al treno eravamo l'uno attaccato all'altro e non c'era neanche l'aria per respirare. L'unico ricambio d'aria era una piccola fessura sul lato destro del vagone. La gente era costretta a fare le urine e le feci nel posto in cui si trovava. Io oltre al cattivo odore sentivo soltanto i lamenti dei bambini affamati e delle persone impaurite. Mio padre era l'unico che ci diceva di stare tranquilli perché saremmo arrivati in un posto scelto per gli ebrei, ma io nei suoi occhi leggevo tanto terrore. Dopo tre giorni di viaggio il treno si fermò, molta gente era morta per assideramento; quando aprirono i vagoni la luce ci accecò perché eravamo sempre stati al buio. Due soldati spingendoci con i fucili ci fecero scendere dal treno: le donne furono avviate da una parte, gli uomini dall'altra.
Quando si è resa conto di essere in un campo di concentramento ?
- I soldati ci portarono in uno stanzone dove due tedeschi in camice bianco ci esaminarono scegliendo chi doveva andare a fare la doccia (poi sapemmo che andavano nelle camere a gas) e chi doveva andare nei campi di lavoro. Quella fu l'ultima volta in cui vide mia madre e mia sorella. A notte fonda fummo portati in grandi baracche con dentro persone che sembravano scheletri. Allora cominciai a capire che l'incubo forse non sarebbe mai finito.
Qualche giorno dopo un medico di nome Himmler cominciò ad usarmi come cavia per i suoi esperimenti. Nel suo laboratorio passarono molte coppie di gemelli. Mi ricordo di due gemelle con gli occhi scuri e capelli biondi. Dopo circa una settimana le vidi trasformate: avevano gli occhi azzurri e la pelle molto gonfia. Poi seppi che Himler faceva ogni sorta di esperimenti sui gemelli.
Qual' è il ricordo peggiore che le è rimasto di Auschwitz ?
- Un numero tatuato sul braccio mi ricorda ogni giorno il genocidio vissuto sulla mia pelle. Adesso sono una donna anziana, ho ottanta anni e vivo una vita semplice, ma mi impegno ogni giorno a far conoscere alle nuove generazioni a cosa portano l'odio e il razzismo.
Ogni anni, a giugno, a scuola chiusa, avevamo preso l'abitudine di organizzare una settimana di campo scuola per far conoscere a studenti e studentesse il Parco Nazionale.
Con Damiano Vagaggini, insegnante di fotografia e con il prof. Giuseppe Panuccio, responsabile delle attività extra-curriculari
Che siano state le letture della biblioteca materna a indirizzarlo verso nuovi e diversi orizzonti? Fra i tanti titoli della sua collezione, infatti, figurano anche un libro di iniziazione alla dottrina buddista e un manuale di chiromanzia appartenuti proprio alla madre Ernesta. Non possiamo esserne certi, ma è sicuro che una figura “guida” in questo senso sia stato per Rota il professore Michele Cianciulli, insegnante di filosofia, antifascista e massone del Grande Oriente d’Italia, che lo preparò negli studi per l’esame di maturità. Cianciulli stimolò in Rota la curiosità verso i mondi e le dottrine esoteriche e, in seguito, gli lasciò in eredità tutti i suoi libri, confluiti poi in parte anche all’interno della collezione Verginelli-Rota.
il professore Vincenzo Verginelli, Corato, 27 maggio 1903- Roma, 6 dicembre 1987), insegnante, scrittore ed esoterista italiano.
Biografia
Nato a Corato in provincia di Bari, a sedici anni lasciò il liceo e partì per Trieste dove recò a Gabriele D'Annunzio un assegno dei pugliesi a sostegno dell'impresa di Fiume. D'Annunzio lo chiamò "Vinci" come buon auspicio in seguito alla sua partecipazione alla presa della città. L'incontro con il poeta ebbe un forte influsso sulla sua vita.
Nel 1921 conobbe il pastore valdese Girolamo Moggia grazie al quale aderì all'ermetismo.
Nel 1929 conobbe in Francia Giuliano Kremmerz (al secolo Ciro Formisano), il maggiore pensatore ermetico del tempo, che lo portò a rinforzare la sua fede nell'ermetismo.
Laureatosi nel 1925 in Lettere Classiche a Firenze con una tesi in Storia dell'Arte ottenne grazie al filosofo Giovanni Gentile una collaborazione onorifica con l'Enciclopedia Treccani per il periodo 1926-36 per numerose voci di carattere artistico. Nel 1929 divenne docente di italiano e latino a Napoli, dove ebbe come allieva Elena Croce, figlia di Benedetto Croce. Fu così ammesso a casa Croce divenendo discepolo di Benedetto Croce.
Nel 1938 iniziò l'insegnamento al liceo Virgilio di Roma dove rimase fino al suo pensionamento nel 1970.
A Roma conobbe Nino Rota, che si era trasferito da Milano in questa città. Tra i due sorse col tempo un'amicizia più che fraterna per la condivisione degli stessi ideali ermetici, per essere entrambi celibi e per la loro eccellente intesa letterario-musicale. Perciò nel 1986, un anno prima di morire, scrivendo di entrambi, dirà: “A Roma […] stavamo sempre insieme. Libri e musica. Musica e libri”. Fu così che nacque la loro perfetta collaborazione artistica, che si interruppe purtroppo prematuramente nel 1979 con la morte del musicista.
Perché si possa inquadrare meglio la figura di Verginelli potrebbe bastare citare lui stesso, che nella parte finale del testamento del 16 novembre 1987, scrive:
«Nella vita conta sempre fare il bene e amare […]. Nella vita conta proporsi di divenire migliori e far divenire migliori possibilmente quelli che ci sono vicini per concorrere al miglioramento dell'intera società umana. Virtute e conoscenza ellenica e dantesca. Questo è stato il mio ideale di vita da ragazzo e a questo fui ispirato da provvidenziali incontri; a questo ideale ho cercato, con umiltà ma con dignità e costanza, di essere fedele.»
L'e
L'approccio all'ermetismo, inteso come ricerca della Conoscenza del Sé secondo i dettami di Ermete Trismegisto, risale in Vinci all'epoca dell'incontro con il valdese Girolamo Moggia sul treno Barletta-Bari nel 1921 e alla traduzione della Chymica Vannus.
Nel 1924 Verginelli entra a far parte dell'“Accademia Pitagora di Studi Ermetici” a Bari, patrocinata dalla “Schola Philosophica Hermetica Classica Italica” (S.P.H.C.I.) fondata dal Maestro Giuliano M. Kremmerz, al secolo Ciro Formisano. La “Schola” assunse la chiara configurazione di una congregazione finalizzata alla terapeutica, così che, per iniziativa del suo fondatore, si denominò, nell'operatività ermetica, “Fratellanza Terapeutico-Magica di Miriam”. A Roma, Verginelli subentrò nella conduzione del “Circolo Virgiliano”, ispirato alla stessa Fratellanza.
Esperto conoscitore di quegli antichi testi alchemico-ermetici, catalogati nei decenni a lui precedenti da Caillet, Lenglet du Fresnoy, Manget, Ferguson, Duveen, Thorndike e altri, dopo la dipartita di Nino Rota, che aveva massimamente contribuito a collezionarli, Verginelli decise di comporne un catalogo «alquanto ragionato», che fosse cioè una guida descrittiva e critica all'interpretazione dei testi per il «candido lettore» e «curioso ricercatore». Degli oltre 450 volumi in suo possesso, tra cui il Clavis Artis, fece donazione alla Biblioteca dell'Accademia Nazionale dei Lincei a Roma nel 1984, quand'era presidente il professor Giuseppe Montalenti, affinché fossero di facile consultazione; la donazione fu ufficialmente recepita dal presidente dell'Accademia, il professore arabista Francesco Gabrielli.
Le opere[modifica | modifica wikitesto]
- Traduzione manoscritta dell'antico testo ermetico Chymica Vannus (Il vaglio chimico, Amsterdam, 1666), di autore anonimo (forse Eugenio Filalete ovvero Thomas Vaughan, Gran Maestro della Rosacroce), a cui fa seguito la Commentatio de Pharmaco Catholico di Johannes de Monte-Snyder; la traduzione fu data alle stampe da Carlo Nuti per i tipi di Ibis Libreria Editrice nel 1999; precedentemente Ercole Quadrelli (Abraxa-Quadreracles alias Parafraste Ocella) nel 1982 ne aveva stampato una sua traduzione con Arché; recente è la traduzione autoprodotta della medesima opera (con testo latino a fronte: www.youcanprint.it - Prima Edizione, 2018) da parte di Mario Marta e Giovanni Sergio; la Seconda Edizione 2019, senza testo latino, contiene 398 note a piè di pagina, un indice e sunto dei capitoli e dei paragrafi, un Indice Analitico dei Nomi Propri (318 voci).
- La poesia di Orazio Caputo, 1934
- Raccolta di poesie Ceneri di Paradiso, Guanda, 1957
- Oratorio Mysterium, 1960-61, musicato da Nino Rota, ispirato all'universalità della fede, su commissione della Pro Civitate Christiana di Assisi, con citazioni in latino e traduzione italiana a lato dal Vangelo di Giovanni e dai primi scrittori cristiani, rappresentato ad Assisi il 29 agosto 1962
- Aladino e la lampada magica Archiviato il 27 aprile 2014 in Internet Archive., 1962-63, libretto ispirato alla nota novella de Le mille e una notte, musicato da Nino Rota, rappresentato al Teatro San Carlo di Napoli nel 1968 e al Teatro dell'Opera di Roma nel 1978
- La vita di Maria, 1969-70, cantata sacra musicata da Nino Rota, con scelta di testi sacri dal Vecchio Testamento, i Vangeli ortodossi e quelli apocrifi, prima rappresentazione alla Basilica di San Pietro, Perugia in occasione della XXV Sacra Musicale Umbra, 24 settembre 1970
- Cantata profana Roma capomunni, 1970, musicata da Nino Rota, contenente liriche tratte da Gioachino Belli, Byron, Goethe, Plutarco, Dante, Orazio e Virgilio
- Bibliotheca Hermetica, Catalogo alquanto ragionato della raccolta Verginelli-Rota di antichi testi ermetici (secoli XV-XVIII), Bruno Nardini editore, Firenze, 1986, catalogo di oltre 450 trattati a stampa e manoscritti (anche miniati) di contenuto ermetico e alchemico, componenti la raccolta Verginelli-Rota, di cui egli stesso era in possesso, acquistati insieme al grande musicista Nino Rota
- Traduzione italiana del trattatello alchemico di Daniel Stolcius von Stolcenberg intitolato Viridarium Chymicum (Francoforte, 1624), Bruno Nardini editore, Firenze, 1983